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Il grido di libertà della Primavere arabe nella voce dei Mashrou’ Leila

Cantano il Medio Oriente e le rivoluzioni arabe, si chiamano Mashrou’ Leila e vengono da Beirut. Hanno 25 anni e per la prima volta sbarcano in Italia per un concerto speciale al Middle East Now, il festival che dal 9 al 14 aprile a Firenze racconterà il Medio Oriente contemporaneo attraverso cinema, documentari, fotografia, progetti artistici, musica, cibo, incontri ed eventi speciali. Stanno cambiando la musica con lo slogan “occupy arab pop” e sono la più famosa band indie-rock mediorientale. Devolveranno il ricavato dell’esibizione di venerdì 11 aprile a sostegno dei progetti Oxifam a favore dei profughi siriani in Libano.

Formiche.net ha intervistato Hamed Sinno, cantante di Mashrou’ Leila.

La vostra musica ha un raffinato equilibrio tra influenze occidentali e orientali. In alcuni momenti sembra quasi balcanica.
Scriviamo qualunque cosa sentiamo, in modo intuitivo e molto libero, non entriamo mai in una stanza di registrazione avendo in testa di scrivere una canzone pop o rock,, con infulenze mediorientali o americane. Tutto nasce in modo molto naturale. Oggi anche in Nord America non esiste più puro rock o pop puro, in tutto il mondo la musica non ha più confini così precisi.

Che reazioni hanno avuto canzoni i cui testi parlano di amori omosessuali o tra persone di religioni diverse, in cui non si ha paura di accostare le bombe con le preghiere dei muezzin, di parlare di materialismo o di criticare la violenza dei soldati ai posti di blocco?
Se la gente viene ai nostri concerti di solito ci conoscono già bene e amano la nostra musica. L’opinione pubblica invece ha avuto reazioni miste, una parte ci appoggia e una ci critica. Ma all’inizio siamo comunque rimasti molto sorpresi dall’accoglienza molto positiva di canzoni che avrebbero potuto risultare estremamente provocatorie.

Il mondo arabo sta quindi cambiando velocemente?
C’è una battaglia nel mondo islamico, ma non tutto è bianco e nero, per esempio la mia famiglia, che è sunnita, è molto conservatrice e ha idee profondamente diverse dalle mie, ma accettano la mia omosessualità senza problemi. Non penso che il Medio Oriente sia in una fase regressiva come alcune fazioni politico-religiose vorrebbero che fosse. Basta vedere com’era il cinema negli anni settanta, o la poesia antica. Io personalmente non mi identifico come arabo progressista. Non penso quando parlo a come mediare la mia identità mediorientale con il mondo occidentale, lo faccio in modo spontaneo. Così anche tutti i componenti del gruppo hanno creato le canzoni in modo intuitivo, quasi istintivo. Tocchiamo questioni che per alcuni potrebbero essere tabù senza averlo pianificato. In generale però moltissime persone non sentono questi argomenti come pericolosi. I paesi arabi non sono diversi dal resto del mondo, ci sono lotte di classe, o di genere. Molti hanno la tendenza a dire che certe richieste di libertà siano influenzate dal mondo occidentale, ma non è affatto così, sono solo sintomatiche di una società mediorientale complessa e dai molti volti.

Si può dire che la vostra musica ha testi politici e sociali?
Quando siamo in sala prova è importante che nessuno pensi che non poter dire quello che vuole perché va contro il “main stream”. Il bianco o nero o i tabù non esistono solo nel mondo della religione o della politica, anche la musica che passa in televisione nei paesi arabi spesso ha codici netti sulla sessualità maschile e quella femminile. Se rispetti le regole, per esempio, si aprono più facilmente le porte dei canali tv di musica pop. Certo il nostro atteggiamento spontaneo è fondamentale in fase creativa, ma poi quando esce l’album, o saliamo su un palcoscenico, siamo consapevoli che la nostra musica pone domande e che noi, a quel punto, ci dobbiamo confrontare con reazioni di ogni tipo.

State lavorando a un nuovo album?
Abbiamo appena incominciato a scriverlo, è ancora prematuro parlarne. Faremo però presto un tour in Europa. Abbiamo già delle date certe in Belgio, a Parigi e a Firenze dove suoneremo venerdì 11 aprile in un evento speciale per raccogliere fondi per la Siria alle ore 21.30 all’Auditorium Flog organizzato Middle East Now, il festival.

Come è nata la passione per il canto?
Da quando era ragazzo ho sempre cantato e non riesco a ricordare un momento della mia vita in cui non lo abbia fatto. Per alcuni periodi al liceo ascoltavo alcuni tipi di musica che mi davano un’identità, come per esempio il grunge o la musica dei Nirvana. Oggi ascolto di tutto, così come ogni membro del gruppo divora quantità incredibili di musica e la condivide con gli altri. Non ho generi particolari, è però importante che ci sia una voce. Amo le buone liriche, possono essere nuove o vecchie, basta che siano speciali.

Quale dei tanti Paesi in cui avete suonato ha il pubblico più caldo?
Nel mondo arabo, oltre che in Libano e in Egitto, abbiamo suonato molte volte in Giordania, in Qatar, in Tunisia e Marocco. Abbiamo poi fatto tour anche fuori dal Medio Oriente e dal Maghreb. In ogni concerto si crea un feeling diverso con il pubblico. In Libano siamo persone normali, quasi familiari, ci vedono in giro per Beirut tutti i giorni, mentre negli altri paesi i fan sono più scatenati perché non sono abituati a vederci così spesso. Non so se ci siano paesi in cui i fan siano più caldi o meno. Penso che alla fine ci siano persone con il senso del ritmo e passione per la musica dovunque. Ecco forse potrei dire che un popolo abituato a sentire cinque volte al giorno il canto del muezzin interiorizza più facilmente la poesia.


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