“Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o Zagrebelsky”. Che un segretario del Pd sfidi apertamente “i professoroni” icone della sinistra come ha fatto oggi Matteo Renzi sul Corriere della Sera ha stupito in molti. Non l’editorialista di via Solferino Pierluigi Battista, che a Formiche.net spiega le motivazioni di tale ‘inaudito’ affronto: “La sinistra è molto variegata, ha tante sfumature. Quella da cui proviene Renzi ha molta meno soggezione rispetto a certi miti. Non è questione di irriverenza ma di minor impatto su alcuni temi come la sacralità della Costituzione. Non dimentichiamoci che Renzi è diventato segretario del Pd alla fine di una lunga battaglia culturale, anche di rottura, che può piacere oppure no, ma c’è stata”.
C’è un rischio di deriva autoritaria, come nell’allarme lanciato da Zagrebelsky & Co. sul Fatto quotidiano?
No, e trovo preoccupante che si lanci l’allarme di una svolta autoritaria in modo così pretestuoso. È assurdo pensare che ciò che avviene in tutti i Paesi democratici, dove il bicameralismo perfetto non esiste, venga fatto passare come sintomo di una deriva autoritaria. In Italia c’è una specie di incubo, di psicosi verso qualsiasi tipo di riforma, soprattutto nella cultura conservatrice e di sinistra.
Anche sulle tematiche del lavoro, Renzi viene criticato da sinistra. Le sue idee sono “di destra” come dice Fassina?
No, voglio rispondere con un esempio. La Germania di Schröder ha fatto una riforma del mercato del lavoro che va nel senso di quella immaginata da Renzi e basata sul superamento dei tabù posti dal sindacato e dalle altre organizzazioni. Non credo sia di sinistra la troppa rigidità o il prediligere il non lavoro al lavoro flessibile.
Fa bene Renzi a usare toni spesso quasi arroganti?
Sul piano dei contenuti Renzi sta dando una scossa riformatrice che condivido. Vanno bene la velocità, la voglia di fare e di non farsi impantanare. A volte però usa toni baldanzosi da guascone che potrebbe evitare. Ogni critica per lui significare essere gufi o rosiconi. Non è così, è giusto che Renzi si sottoponga al fuoco di domande dei giornalisti, per esempio sulle coperture finanziarie per gli 80 euro in più in busta paga, a cui per ora ha risposto in modo vago.
Che fine fa il Pd con Renzi?
Il Pd con Renzi vince. Nell’apparato del partito si annidano i nemici più pericolosi per lui che per ora restano coperti ma covano un forte istinto di rancore. La partita a Largo del Nazareno non è per niente chiusa. Anche se non si arriverà allo strappo perché significherebbe segare il ramo su cui tutti sono seduti. Si dice sempre che Renzi è l’ultima possibilità. Lo è per il Pd, non per l’Italia. Il Paese può peggiorare ma oggi una sconfitta di Renzi significherebbe soprattutto la liquefazione del Pd.
È per questo che Renzi minaccia le dimissioni? Sa che alla fine la spunterà lui nel Pd?
Renzi sa che da lui dipende il destino del Pd. Non penso che la minoranza interna lo farà cadere ma continuerà a mandargli messaggi, a fare braccio di ferro con lui che dovrà inevitabilmente scendere a patti perché ha bisogno di un partito compatto per attuare l’ambizioso cronoprogramma che ha in mente.
Ce la farà a portarlo a termine?
Se non ce la facesse, sarebbe peggio di una sconfitta politica per lui, perderebbe la sua credibilità. Anche se non è escluso un piano B alla Berlusconi: se non lo fanno governare, potrebbe andare alle elezioni e conquistare un nuovo Pd, molto più renziano dell’attuale con cui fare le riforme sarebbe molto più facile.