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Papa Francesco non è comunista. Ecco perché

Nella campagna elettorale per l’assemblea costituente del 1946 il partito socialista, allora unitario, fece affiggere sui muri di città e piccoli centri un vistoso manifesto di grande formato (inconsueto per quei tempi e da nessun altro movimento adottato) nel quale primeggiava la figura ieratica del fondatore della religione cristiana accompagnata da un motto assertivo: Cristo è stato il primo socialista.

Quel manifesto fece molta impressione. Anzitutto perché il Psiup, in tutte le sue manifestazioni, rivendicava una progenitura antireligiosa pregiacobina e premarxista, intendendo ribadire le distanze dagli scissionisti comunisti del 1921 e negare valore alla politica della «mano tesa ai cattolici» di Togliatti, palesemente strumentale elettoralmente. Poi in quanto i suoi leader, Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, definivano la Dc come «partito cattolico», in un certo senso contraddicendo il senso del manifesto blasfemo: contro cui i democristiani preferirono tenere i toni bassi, non volendo essere scambiati per clericali, loro che erano nati come forza politica autonoma e intesa a conquistare i voti dei cattolici che preferivano la democrazia ad altri regimi, come il fascista, da poco abbattuto, e che nel 1924 s’era imposto anche grazie alle coperture del clero e dell’associazionismo cattolico.

Ricordo quel precedente perché, come si ricava da alcune reazioni non marginali italiane ad alcune dichiarazioni di Papa Francesco ad una televisione fiamminga, è riaffiorato nel panorama internazionale quell’antico pregiudizio secondo il quale l’essere e mostrarsi a favore dei poveri e degli umili significa scegliere il comunismo.

Dalla sua alta cattedra e con quel suo carattere schietto che contraddistingue il suo papato, Francesco, con poche parole, semplici, ha chiarito, in via dottrinaria, come il comunismo sia tutt’altro che compatibile con un immaginario paradiso terrestre tutto rose e fiori. Mentre l’amore per i poveri e gli umili costituisce un riferimento essenziale del messaggio cristiano; anche se oggi la società opulenta sembra ignorare l’esistenza di vasti territori, non solo appartenenti all’emisfero meridionale, dominati dallo sfruttamento umano che moltiplica la povertà e mortifica le persone.

Se però Francesco non è sfuggito alla domanda dei giovani fiamminghi, non credo l’abbia fatto soltanto per distinguere la fede cristiana dalle dottrine materialistiche che ancora circolano nel mondo malgrado lo sfaldamento dell’impero comunista sovietico del 1989. Credo che il papa abbia inteso anche replicare a chi lo accusa di avere dato alla Chiesa un corso eccessivamente progressista, mentr’invece ha semplicemente richiamato i fedeli (e gli infedeli) alle origini: alle fonti del cristianesimo, le cui spiegazioni non possono essere strumentalizzate per fini politici contingenti. Lo noto anche perché nell’ordine cardinalizio è in corso una disputa teologica che sfugge anche ai più acculturati e non può neppure prescindere dalla coscienza che anche il più pio dei cristiani è pur sempre un peccatore, e ne ha consapevolezza.


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