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Padoan sussurra a Draghi di fare l’americano

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, l’articolo di Marcello Bussi uscito sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi.

Credo che l’allentamento quantitativo (QE) «sarebbe appropriato per l’Eurozona». Lo ha affermato ieri il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, sottolineando che all’interno della Bce c’è un ampio dibattito «non solo sul quando, ma anche sul come realizzarlo».

Padoan ha inoltre sottolineato che «certamente l’inflazione dell’Eurozona è molto bassa e molto al di sotto del target del 2% della Bce. La cosa più preoccupante è che è molto bassa e in alcuni casi negativa, in certi Paesi del Sud dell’Eurozona» (il riferimento è a Italia e Spagna) e questo rende più difficile le riforme di questi Stati in termini di aumento della competitività e di riduzione del debito. «Non dico che bisogna avere più inflazione del necessario, ma che bisogna tornare al target prestabilito del 2%», ha concluso Padoan.

Peccato che anche ieri alcuni esponenti del Consiglio direttivo della Bce abbiano nuovamente gettato acqua sul fuoco del QE che, a leggere certa stampa italiana nei giorni scorsi, sembrava erroneamente cosa già fatta. Persino Josef Bonnici, governatore della Banca centrale di Malta, ha dichiarato di non vedere segnali di deflazione e ha puntualizzato che la Bce ha ancora strumenti di politica monetaria convenzionale da utilizzare. Mentre il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, pur ammettendo che la Bce agirà per prevenire un periodo prolungato di bassa inflazione, ha sottolineato che non saranno mantenuti bassi i tassi d’interesse per aiutare gli Stati ad affrontare il problema del debito pubblico.

Mentre il governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, ha sì affermato che la Bce è pronta a usare strumenti più forti per aumentare l’inflazione, auspicando inoltre un euro più debole, ma ha anche detto che il nuovo premier francese Manuel Valls sbaglia a sostenere che la politica monetaria dell’Eurotower è meno espansiva di quella di altre banche centrali. E sembra proprio tutta in salita la strada di Valls, che ieri ha presentato in Parlamento, ottenendo la fiducia, il suo programma di governo. Il neo premier non ha citato esplicitamente la richiesta di rinviare ulteriormente il raggiungimento dell’obiettivo deficit/pil al 3%, ora previsto per il 2015 (l’anno scorso era al 4,3%).Ma è noto che l’obiettivo di Parigi è proprio questo. Nell’ultimo Eurogruppo, quando Valls era stato appena nominato dal presidente François Hollande, lo stesso Padoan aveva stroncato le velleità transalpine dicendo di non aver «visto un asse Italia-Francia, ci sono molti Paesi che devono aggiustare i conti, noi non siamo in procedura, altri sì, e noi difenderemo i risultati di bilancio acquisiti e andremo avanti con le riforme per la crescita e il lavoro».

Ieri, intanto, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha ribadito i suoi suggerimenti alla Bce, che hanno suscitato una certa irritazione nel presidente Mario Draghi (il Fmi «potrebbe dare indicazioni anche il giorno prima della riunione della Federal Reserve», aveva detto alla fine dell’ultimo Consiglio direttivo della Bce terminato con l’ennesimo nulla di fatto). Olivier Blanchard, capo economista dell’istituto guidato da Christine Lagarde, ha avvertito che in Eurolandia esiste il rischio deflazione, da evitare assolutamente. Pertanto la Bce deve agire tempestivamente suggerendo, tra i possibili interventi, «un ulteriore taglio dei tassi» e misure non convenzionali, come appunto il QE. Blanchard ha parlato in occasione della presentazione del nuovo World Economic Outlook, in cui gli esperti del Fmi hanno rivisto al ribasso le stime di crescita globale dello 0,1% sia del 2014 sia del 2015, portandole rispettivamente al +3,6% e al +3,9%. A trainare la crescita saranno gli Usa, con un +2,8% quest’anno e un +3% il prossimo, mentre il pil di Eurolandia aumenterà rispettivamente dell’1,2% e dell’1,5%. E se la Germania crescerà dell’1,7% e dell’1,6%, l’Italia si limiterà a un +0,6% e +1,1%. Decisamente deludente la Cina, che quest’anno vedrà un incremento del pil solo del 5,4% contro il 7,5% indicato come obiettivo dal governo di Pechino, e nel 2015 del 6,4%. Secondo il Fmi, «ulteriori misure per far ripartire l’offerta di credito» in Italia, oltre che in Francia, Irlanda e Spagna, consentirebbero «un aumento del pil del 2% o anche di più».


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