Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo la lettera di Massimo Mucchetti al direttore di Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi.
Caro direttore, l’articolo di Goffredo Pistelli sul ddl firmato da Vannino Chiti e da altri 21 senatori del gruppo Pd, quorum ego, offre lo spunto per alcune considerazioni che partono dal testo e finiscono nella politica. Il titolo («Il tanko di 22 senatori civatiani») ha una vena satirica che può divertire e non di meno appare impropria nell’aggettivazione e incoerente nella sostanza.
Dare del civatiano al sottoscritto è (come dire?) improprio. Avrò scambiato due parole in tutto con Pippo Civati. C’è tutta una vita che ci rende diversi. E questo vale anche per gran parte dei senatori che conosco. A cominciare da Chiti. Dopo di che, se questa è l’opinione di Pistelli, ne prendo atto e passo al «tanko».
Evocare il trattore-carro armato dei velleitari serenissimi che danno l’assalto al campanile di San Marco mi ha indotto al sorriso, e tuttavia non capisco come si possa considerare velleitario il ddl dei 22 e poi manifestare il timore che lo stesso ddl possa conseguire consensi ben superiori al numero dei primi firmatari. È velleitario o no? Ma il punto che mi ha indotto a chiederti ospitalità è l’idea che i 22 senatori avrebbero dovuto essere espulsi se solo il PD fosse come uno dei suoi progenitori, i DS. Temo che Pistelli conosca poco i DS e pure il loro progenitore chiamato PCI. Mai il PCI avrebbe fatto una riforma costituzionale senza coinvolgere fino in fondo le Camere. E sempre avrebbe rispettato le figure istituzionali come il presidente del Senato.
La storia di Nilde Iotti che, da presidente della Camera, critica Berlinguer, sta lì a dimostrare come quel partito, pur seguendo il centralismo sovietizzante e radiando i dissidenti del «Manifesto», attribuiva alle questioni e ai ruoli istituzionali un’autonomia e un’indipendenza di giudizio. Troverei davvero curioso che il PD, erede anche del cattolicesimo democratico, assumesse uno stile staliniano.
Tanto più se il ddl del governo presenta, accanto a ottime intenzioni, anche qualche debolezza. Perché tagliare 315 indennità, tante quante sono i senatori, quando, come proponiamo noi, se ne possono tagliare il doppio, con le relative spese di funzionamento, toccando anche Montecitorio? Perché tenere una camera pletorica di 630 deputati, che non sono tutti premi Nobel, quando un consesso più ristretto costringerebbe chi fa le liste a riempirle di persone capaci e stimate pena l’insuccesso elettorale? Perché considerare eresia la democrazia che porta, attraverso l’elezione diretta di un centinaio di senatori dando adeguata rappresentanza a tutte le opinioni politiche, quando, con un Senato di Governatori, consiglieri regionali e sindaci, avremmo un’assemblea senza un solo rappresentate del M5S e con una scarsissima rappresentanza del centro-destra?
Se posso permettermi un suggerimento al collega Pistelli, questo chiederei a Matteo Renzi la prima volta che l’avessi a tiro di microfono: «Caro presidente, una volta approvata la riforma del Senato come lei la vuole, lascerà proseguire fino al suo termine naturale la legislatura, cercherà lo scioglimento di entrambe le attuali camere o cercherà di sciogliere il solo Senato?».
In ogni caso, il confronto parlamentare è fatto per ragionare assieme, non per sfide celoduriste. Questo penso da senatore senza tessera e perciò, con buona pace di Pistelli, non passibile di espulsione da un partito che, nel dicembre 2012, mi aveva chiesto un impegno – questa specie di servizio civile – proprio in ragione di una storia professionale di autonomia di giudizio.