Più che dalla dominante invadenza delle caste burocratizzate e dei correlati cerchi magici che s’attaccano come cozze alla persona del leader; e più che dalla concezione della politica come esclusiva distribuzione di ministeri e altre prebende non sempre adeguate al livello qualitativo dei beneficiari, larghi settori popolari italiani si tengono lontani dalle istituzioni per non avallare e farsi complici di quelle manipolazioni elettorali che infangano l’esercizio della democrazia, rendendola, come s’usa dire, «sporca».
Il crescente astensionismo, che definiamo disaffezione, così come l’antipolitica, che battezziamo come populista, anche se costituisce una reazione al ricorso abitudinario ai brogli che si consumano nelle istituzioni (i pizzini nelle elezioni del capo dello Stato ne costituiscono la peggiore testimonianza) o negli spogli di voti dati in consultazioni generali e locali nella convinzione di partecipare lealmente a competizioni democratiche, in fondo sono principalmente dovuti al degrado della politica, al suo ridursi a rubare consensi all’avversario.
In Italia la manipolazione elettorale risale al momento stesso del passaggio dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale e parlamentare. I libri di storia normalmente glissano sui brogli nati con le elezioni a suffragio ristretto. Ma persino i grandi padri della patria – Cavour, Garibaldi, Mazzini – lamentarono di essere vittime (ovvero furono accusati d’essere beneficiari) di manipolazioni di schede, benché, in ogni collegio, gli elettori fossero sempre meno di qualche centinaio di privilegiati aventi titoli ad esercitare il voto attivo e/o passivo. Nell’ultimo quarto dell’Ottocento, la Sinistra storica di Depretis andò al potere in virtù del trasformismo, cioè del passaggio di baroni e signori, eletti con la Destra, ma passati a sostenere l’astro nascente di un progressista che prometteva di cambiare il mondo in meglio, mentre i suoi eredi, con Crispi, si gettarono nell’impresa colonialista in Africa o nella repressione dei moti popolari a Milano come in Sicilia.
Nell’Italia repubblicana la manipolazione elettorale ha raggiunto vette sublimali, al cui centro si sono sempre trovati i comunisti e i loro derivati. I primi a lamentarsene furono i socialisti, che si scoprirono imbrogliati dal Pci nelle preferenze all’interno del fronte popolare. In vista del 1953, Giancarlo Pajetta fu il trombettiere contro la presunta «legge truffa», ma nel frattempo insegnava ai discepoli delle Frattocchie come si dovessero utilizzare presidenti, scrutatori e rappresentanti di lista per sottrarre voti alla Dc e alleati. Risultato: più di un milione di schede modificate, mentre la maggioritaria non passò per soli 57 mila voti. Un salto temporale veloce: nella stretta finale del 2006, quando si stava delineando una vittoria di Berlusconi e alleati, gli esperti elettorali dell’Ulivo utilizzarono la Rai per mobilitare chi di dovere alla «vigilanza democratica» in Campania e Lazio, le ultime regioni scrutinate. Col risultato che Prodi, da indietro che era nelle proiezioni e nei dati ufficiosi, vinse con uno scarto di 24 mila voti. Per non parlare dei brogli lamentati dai soccombenti nelle primarie del Pd del 2013 e rimasti senza risposte convincenti.
Per evitare che il controllo democratico sfugga completamente di mano agli elettori, è necessario che i partiti più sensibili alla libertà e al diritto dei cittadini di essere rappresentati per i voti realmente ottenuti, è indiscutibile ricorrere ad attrezzare forme di difesa democratica. In primo luogo organizzandosi perché, nei seggi elettorali e nelle corti d’appello dei tribunali, siano presenti presidenti, scrutatori, rappresentanti di lista e funzionari preparati, onesti, che controllino, scheda per scheda, verbale per verbale, pacco per pacco le schede bianche e quelle annullate, impedendo che le manipolazioni del voto proseguano indisturbate ad alterare i consensi realmente avuti dalle singole formazioni. Diversamente, è davvero inutile recarsi ad un seggio, votare per il partito A e preferenza a Tizio e vedere manipolato il proprio voto (o scheda bianca) a favore del partito B, con preferenza a Sempronio.