La Cosa bianca, il balenottero, la nuova Dc, “una galassia dall´imprinting smaccatamente, volutamente cattolico”, il partito della Cei (o della Segreteria di Stato, a seconda delle versioni). Si sprecano, da parte di osservatori e commentatori più o meno interessati, le etichette da Prima Repubblica per un progetto – quello lanciato ufficialmente sabato, negli Studios di via Tiburtina a Roma – che si è posto invece, fin dal nome, l’obiettivo assai ambizioso di inaugurare la Terza.
Un´immagine utile giornalisticamente per buttarla in caciara, quella del “partito dei cattolici”: una definizione fuorviante, che non rende giustizia a una piattaforma che si pone obiettivi molto ambiziosi e tutt´altro che “moderati”.
È innegabile il ruolo giocato dai cosiddetti “cattolici di Todi” nel passaggio dalla stagione berlusconiana – dal caso Ruby al surriscaldamento dei tassi d´interesse sul debito – a quella montiana, così come nella costruzione del nuovo soggetto che all’attuale premier si ispira (e basta scorrere i nomi di alcuni tra i protagonisti dell’appuntamento romano, da Andrea Riccardi al presidente delle Acli Andrea Olivero, passando per il segretario della Cisl Raffaele Bonanni).
Ma Italia Futura – il think tank di Luca di Montezemolo che del manifesto (e dell’evento) è stata di fatto il motore – non è certo catalogabile tra le associazioni di stampo cattolico. Men che meno lo è ZeroPositivo, la nostra piccola “start-up della politica”, convintamente laica e liberale. Né sono riconducibili a quel “mondo” molti dei firmatari, da Umberto Veronesi a Irene Tinagli, da Edoardo Nesi a Nicola Rossi.
Come ha ben spiegato lo stesso ministro Riccardi, “verso la Terza Repubblica” è “un manifesto in cui vive l´innesto di una cultura laico liberale con quella cattolica e che raccoglie tante istanze che salgono dalla società civile e dal mondo produttivo”.
È uno sforzo comune per risvegliare le migliori energie del Paese, oltre i detriti ideologici che per vent’anni hanno inquinato la vita pubblica italiana (destra/sinistra, laici/cattolici…). Un’impresa collettiva che nasce non soltanto con lo scopo di dare sostanza e legittimità politica al riformismo a suo modo radicale della tanto invocata Agenda Monti (liberandola peraltro dall’abbraccio mortale di forze partitiche ormai in disfacimento), ma anche e soprattutto con l’intenzione di ravvivare una politica fiaccata dagli scandali e dalla crisi; di sradicare quei populismi che, a destra e a sinistra, succhiano linfa da questa crisi apparentemente infinita; di rinnovare la rappresentanza parlamentare, iniettando trasparenza e meritocrazia nel processo di selezione della classe dirigente a tutti i livelli.
Sono dunque ingenerose e stucchevoli le polemiche di chi – tra i laici così come tra i cattolici – punta il dito contro l’eccessiva vaghezza in tema di “valori”, denuncia la mancanza di coesione programmatica, derubrica a “manovra opportunistica” il tentativo di far incontrare tra loro storie e culture diverse, che reciprocamente si accettano e si legittimano.
Ma non è forse così che funzionano i grandi country party così spesso portati a modello anche da chi oggi accoglie con scetticismo o con aperta ostilità il rassemblement battezzato a Roma? Non è forse sul confronto, talvolta persino aspro, tra anime e sensibilità diverse che ruota la vita del partito repubblicano americano così come di quello democratico, dei laburisti o dei conservatori britannici, dei post-gollisti o dei socialisti francesi?
Non è facile, soprattutto quando in politica è l’ora del “liberi tutti”, mettersi al riparo dalle tentazioni identitarie, dal conforto dei purismi, dagli autismi ideologici. Ma proprio perché tutto crolla, e proprio perché rischiamo di consegnare un ammasso di macerie a Beppe Grillo e ai suoi emuli, vale la pena di provare a dare voce all´Italia “maggioritaria”. Che è laica e cattolica, che è stata di destra, di centro e di sinistra, che si è innamorata e disamorata ormai troppe volte di grandi narrazioni epiche poi finite in farsa o in tragedia.
Se alla fine sarà qualcosa, questo soggetto frettolosamente detto “montiano”, non sarà una cosa bianca, ma una cosa nuova e soprattutto seria. Noi lavoreremo per questo, anche correndo il rischio di fallire.