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Pli, cronaca di un naufragio annunciato

Pubblichiamo l’articolo di Paolo Guzzanti postato sul blog Rivoluzione Italiana.

Cari amici, in questi mesi non vi ho mai raccontato del mio ritorno nel Partito Liberale Italiano e di quel che è successo. Di quel partito io sono stato finora il Presidente del Consiglio Nazionale ed ora quello stesso partito, già minuscolo, rischia di sparire.

Premessa storica: in un giorno di maggio del 2013 mi telefonò l’allora presidente del Consiglio Nazionale del Partito Liberale Enzo Palumbo per invitarmi a cena con il segretario Stefano de Luca con cui avevo rotto due anni prima uscendo dal partito.
Mangiammo in un piccolo ristorante dietro Fontana di Trevi e dopo alcuni convenevoli de Luca venne al dunque: mi chiese se ero ancora in rapporto con Silvio Berlusconi e se fossi stato disponibile a svolgere una trattativa segreta che si sarebbe dovuta concludere traghettando per le elezioni il PLI sotto l’ala del PDL, oggi Forza Italia.

Mi chiese di compiere questa diplomazia senza farla conoscere ad alcuno e di organizzargli un incontro con Berlusconi. Scrissi così alcune email alla segreteria di SB che alla fine, stremato, mi ricevette per dirmi che al momento non vedeva alcuna opportunità di un tale accordo e mi manifestò la sua perplessità nei confronti del segretario del PLI che era stato un berlusconiano sfegatato, messo in lista ed eletto per le europee di due legislature fa ma che poi si era trasformato in un ferocissimo nemico del Cavaliere.
Io insistetti sulla necessità di dare ossigeno ai liberali, offrire loro una prospettiva, ma tutto finì in nulla. Il segretario del PLI seguitava a chiedermi, anche recentemente, se ci fossero speranze di farsi cooptare da Berlusconi, assicurandomi che per lui sarebbe stato facilissimo convertire il piccolo PLI in un partito che guarda a destra.

Tanta duttilità di Stefano de Luca mi ha sempre sorpreso. Del resto l’avevo visto nel passato trattare freneticamente con Fini, Casini e Rutelli, occhieggiare alla sinistra pronto a fare accordi con la destra, aprire trattative con quel che resta di Fare per Fermare il Declino e con tutta la galassia dei liberali sparsi i quali tutti, poi, alla fine, lo hanno snobbato chiudendogli più o meno bruscamente la porta in faccia.
Un mese fa gli dissi in una riunione di Direzione che la sua politica di spericolata diplomazia senza linea politica non poteva che finire male. E infatti è terminata in un fallimento anche se i liberali sono stati ammessi, privi del loro simbolo e dunque della loro identità, nella lista dell’Alde che è l’alleanza dei liberaldemocratici europei di sinistra, insieme a brandelli di Scelta Civica ed altri scampoli del partito che fu di Giannino.
De Luca e il partito, me compreso, eravamo stati sottoposti a umiliazioni brucianti, esclusioni da tavoli, trattati come fastidiosi miserabili che possono portare in dote soltanto un marchio ambito e tuttavia temuto per le sue potenzialità.

La mia idea strategica era tutt’altra: io avrei voluto che il Pli non partecipasse alle elezioni europee perché nelle urne si sarebbe andato a rompere le ultime piccole ossa.
Ho cercato dunque per mesi di far prevalere la linea di un forte rilancio politico e mediatico, una fase di allegra discussione – sono tornati i liberali, l’ultimo partito sia del futuro che del passato – e di riconquista dell’identità perduta. Poi, soltanto dopo aver compiuto una autentica rifondazione, il PLI avrebbe secondo me potuto prepararsi alle prossime elezioni politiche. Dissi al segretario che la sua linea aperta a tutto e a tutti, liberali e non, sarebbe finita con un insuccesso poco edificante e così è stato. Sono stato facilissimo profeta. A questo punto il segretario de Luca, constatato il naufragio delle inconcludenti trattative, in un apprezzabile e raro moto d’orgoglio, si è dimesso in modo irrevocabile, chiedendo di nominare un segretario provvisorio. Io stesso, eseguendo un deliberato della Direzione del PLI, ho convocato per sabato 12 aprile, il Consiglio Nazionale nell’aula di Palazzo Ferrajoli a piazza Colonna.

Ma la sera precedente, venerdì, mi ha raggiunto a casa l’attuale segretario pro tempore, l’ingegner Giancarlo Morandi, brava ragionevole persona, con cui abbiamo facilmente raggiunto un accordo politico funzionale, limpido e sensato che prevedeva la convocazione del Congresso del partito a Trieste – e non a Roma – subito dopo le europee, con un blocco al 31 dicembre scorso dell’ammissione delle tessere per evitare le invasioni barbariche che infestano in genere i congressi. Dopo ore e ore di estenuanti discussioni durante i lavori del Consiglio, mi sono reso conto che a mia insaputa, e all’insaputa di quei liberali che come Marcel Vulpis e Jacqueline Rastrelli formano con me una minoranza attiva, era stata preparata e fatta girare in segreto una mozione che stracciava tutti i punti dell’accordo già raggiunto e capovolgeva le decisioni concordate.

Questa mozione era dei fedelissimi dell’ex segretario de Luca, prova ne sia che dichiarava in premessa che lo stesso de Luca non si era dimesso perché aveva testardamente inseguito una linea politica senza né capo né coda, ma perché la storia non lo aveva capito. Le associazioni politiche piccole o microscopiche non avevano apprezzato. Lo Zeitgeist si era girato dall’altra parte. Insomma una cosmica congiura di forze ingrate aveva sì bevuto il suo sangue sacrificale ma con spirito di lanzichenecchi all’osteria.

Se tutto ciò – espresso con urla ed enfasi da prima repubblica in coma – non fosse stato imbarazzante sarebbe stato certamente comico. Le conseguenze sono scaturite rapide e drammatiche.

Visto che l’accordo fra gentiluomini che il segretario pro tempore ed io avevamo raggiunto veniva fatto a pezzi, non mi è rimasto che compiere la verifica del numero legale dell’assemblea, constatarne la mancanza e annunciare che l’assemblea non aveva titoli per deliberare su nulla e che la seduta era tolta. Ciò detto, me ne sono andato.

E’ questa dunque la storia di un naufragio facilmente annunciato: un disastro che ha scaraventato sugli scogli quel che restava del PLI di Einaudi, Croce, Malagodi e prima ancora di Amendola, Gobetti e tanti altri patrioti e padri della patria. Io ho deciso comunque di restare liberale, semmai sempre più liberale.

Ne scriverò nei prossimi giorni. Ma intanto volevo riferire come si possa dissipare un patrimonio sotto i colpi di piccoli narcisismi e vanità fatue.


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