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Banche, la paura fa 90 (miliardi)

Quanto costa la paura? Vi parrà strano, ma nello splendido mondo della finanza si può stimare. I nostri meravigliosi econometristi hanno un numero per tutto. E una volta che l’hanno calcolato, capita persino di scoprire, grazie a loro, che una cosa che prima non ci passava neanche per la testa, improvvisamente diventa l’ennesimo ingrediente della nostra ansia. Un altro motivo per avere paura. E così il cerchio si chiude. Lo scopo del gioco è sempre lo stesso: creare timori.

Questa riflessione è stata il risultato di una lettura poco amena, ma interessante, estrapolata dall’ultimo Global financial stability report del Fondo Monetario, laddove tratta di un argomento assai astruso ma esemplare: Quanto è grande il sussidio implicito per le banche considerate troppo grandi per fallire?

Provo a dirlo in maniera più comprensibile: quanto costa agli stati (che devono sussidiarle) la paura che le banche sistemiche falliscano?

Ecco, così magari la questione diventa più popolare.

Salto alla conclusione – il numeretto – e poi svolgo la narrazione, che comunque è istruttiva. Ebbene: il Fondo stima che il sussidio implicito per le banche europee valga almeno 90 miliardi, che possono arrivare fino a 300.

La paura fa 90, è notorio.

A questo punto vale la pena spiegarsi, per non ricadere nell’aneddotica. Partendo da una premessa: la questione delle banche too important to fail (TIFT).

Le TIFT sono uno dei grandi problemi che assillano gli studiosi della stabilità finanziaria e i regolatori, insieme con lo shadow banking e i derivati OTC. Su questa materia, come sulle altre, i regolatori, banche centrali in testa, si sono dati un gran daffare dal 2008 in poi, quando si accorsero che il sistema finanziario faceva acqua da tutte le parti e che quindi, per ripararlo, serviva una super iniezione di liquidità. Curare gli eccessi della liquidità con altra liquidità è il preclaro esempio della logica distorta delle cose finanziarie.

La TIFT vengono anche chiamate banche sistemiche (SIBs, systemically important banks), in virtù della loro attitudine ad essere di grosso calibro e molto ramificate, e quindi capaci di diffondere contagi repentini e mortali. Come un virus letale.

Questi organismi virali sono molto coccolati dagli Stati che ne hanno una sana paura. E fanno bene: ci stiamo riprendendo a fatica e solo a caro prezzo dal decesso di uno di questi organismi nel 2008, ossia la Lehman Brothers. E poiché questi organismi sono assai diffusi nel mondo, ecco che la regolazione sta facendo tutti gli sforzi di cui è capace per trovare dei rimedi, necessariamente omeopatici, ai guasti che possono provocare, provando in qualche modo a prevenirli.

Al di là della loro pericolosità le TIFT hanno anche alcune peculiarità: sono molto più spericolate, e quindi assai più redditizie. Ciò in quanto, potendo godere di una sorta di garanzia implicita – il loro essere sistemiche, che obbliga gli stati, a spese del contribuente, a evitare che falliscano -, tendono a fare il passo più lungo della gamba, prestando magari più di quanto dovrebbero a soggetti al quali sarebbe saggio non prestare. Quindi, quando le cose vanno bene, fanno più ricavi delle banche non sistemiche.

Lato costi, poi, sempre perché tanto non possono fallire, chi presta loro i soldi le considera investimenti pressoché sicuri. E quindi spuntano dei tassi passivi più bassi delle banche non sistemiche.

In pratica: guadagno di più quando prestano e costano di meno quando prendono a prestito. L’ennesima dimostrazione che in finanza il bullismo, più o meno criminale, paga eccome.

Su queste peculiarità diciamo disdicevoli il consenso è unanime. Nella sua disamina, che ripercorre gli argomenti che ho letto decine di volte nei vari interventi dei banchieri centrali, il Fmi ricorda tutto quello che vi ho detto, e che vale la pena riepilogare citando Mark Carney, del Financial Stability board, il principale organismo internazionale di buone pratiche di regolazione: “L’aspettativa che le istituzioni finanziari sistemiche possano privatizzare i guadagni e socializzare le perdite incoraggia l’eccessiva presa di rischi nel settore privato e può essere rovinoso per le finanze pubbliche. Si è cominciato a cercare soluzioni, ma il problema non è stato ancora risolto”.

E come mai potrebbe esserlo, in un sistema che, per sua stessa natura, premia il rischio col rendimento?

A volte mi chiedo se i nostri banchieri centrali siano ingenui o diabolici.

Il meccanismo distruttivo alla base del SIBs l’abbiamo visto all’opera dal 2008, e sappiamo già che ha condotto a una delle più spettacolari impennate del debito pubblico della storia, pari a quello che ci fu durante l’ultima guerra. Chiaro che non si voglia più rivederlo. Ma ciò non significa che si riesca ad evitarlo.

Intanto che ci provano, i nostri fini analisti hanno costruito uno dei loro modellini pieni di numeri ed equazioni astruse per arrivare a stimare quanto pesa, ancora oggi, la garanzia implicita degli stati su queste banche.

Cos’è la garanzie implicita? Ve la faccio semplice: la possiamo definire come il costo teorico che uno stato potrebbe dover affrontare qualora una sua banca sistemica fallisse. Il costo teorico dei danni teorici.

A cosa serve saperlo? I tecnici vi diranno che è un indicatore della stabilità finanziaria e altre belle parole. Ma non fatevi ingannare: lo scopo principale è spaventare. La paura, come le crisi finanziarie, sono ottimi incentivi a fare “tutto quello che è necessario”.

Ebbene, secondo le stime del FMI, il sussidio implicito, che può anche essere interpretato come un’indicatore della fragilità del sistema o dei rischi che esprime, è cresciuto parecchio nel 2012, per poi declinare nella parte finale del 2013.

Negli Stati Uniti, dove il de-leveraging bancario ha proceduto molto più velocemente che in Europa, il sussidio implicito è diminuito prima. E questo certo non deve stupire. Il de leveraging è stato scaricato sulla Fed che, formalmente, sta fuori dal bilancio dello Stato. E ciò malgrado, scrive il Fmi “il valore stimato delle garanzie governative per le banche sottoposte a stress appare più o meno paragonabile al livello pre crisi”. Che sarebbe come dire che abbiamo fatto – gli Usa hanno fatto – una fatica terribile (e a carissimo prezzo) per tornare al punto di partenza.

Non che il resto del mondo se la passi meglio.

“I sussidi stimati sono notevoli”, dice il Fmi. Si calcola che le SIBs, proprio grazie alle garanzie pubbliche implicite, abbiano un vantaggio nel costo dei loro finanziamenti di circa 15 punti base negli Stati Uniti, di 25-60 punti base in Giappone, 20-60 pb nel Regno Unito e addirittura 60-90 pb nell’eurozona.

Quindi le SIBs europee sono le più avvantaggiate dalle garanzie nascoste degli stati. E di conseguenza sono quelle che spendono di meno per il funding.

Un altro modo per dirlo è quantificare l’entità della garanzia implicita in miliardi di dollari, basandosi sul totale dei debiti di queste banche, al netto dell’equity.

L’esercizio l’ha fatto il Fmi, relativamente agli anni 2011-12, e ne ha tratto che i sussidi implicit hanno pesato fra i 15 ei 7o miliardi per le SIBs americane, 25-110 miliardi per quelle inglesi e giapponesi, e dai 90 ai 300 miliardi per quelle dell’eurozona. Che perciò oltre ad essere le meno costose per il funding, sono le più rischiose per le perdite potenziali. Con l’aggiunta che il sussidio implicito, già alto prima della crisi, è addirittura aumentato.

Altro che unione bancaria.

Se ricordate quello che ho detto prima sul doppio vantaggio (sempre quando bene) delle SIBs avrete chiaro perché.

Non bisogna stupirsi che le banche europee siano ridotte così. Dal 2000 al 2012 gli asset della banche europee sono esplosi, arrivando a quotare il 350% del Pil dell’eurozona, dal 250% di inizio secolo. Solo le banche inglesi hanno fatto peggio: hanno superato il 500% del Pil. Mentre Deutsche Bank, che nel 1997 aveva asset per poche centinaia di miliardi di dollari, a fine 2012 aveva raggiunto quota 3.000 miliardi, la prima fra le top global systemically important banks. Seguono la HSBC holdings Plc, la JP Morgan Chase, la Barclays PLC, la BNp Paribas e Citigroup.

Questa meravigliosa classifica di bulli ci dice un’altra cosa che dobbiamo ricordare: ossia chi dobbiamo temere. I primi della lista sono i tedeschi, ma non sono i più rilevanti. Le banche angloamericane insieme quotano circa 9.000 miliardi di dollari, e la Bnp Paribas appena 2.500.

Gira gira torni sempre là: da dove tutto è cominciato: il sistema finanziario angloamericano.

Noi europei facciamo paura.

Ma non siamo poi così pericolosi.



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