Un volo dal sesto piano. Un’altra vita stroncata. A quattordici anni. Non è possibile, non è accettabile veder morire sotto i nostri occhi giovani ragazze – l’ultimo è il caso della quattordicenne di Torino – che decidono di togliersi la vita perché insultate, derise e vilipese sul web da qualche deficiente (uso volutamente un termine neutro visto che non conosciamo, né alla fine interessa più di tanto, il sesso di chi se l’è presa con la povera ragazza). Che neanche ha il coraggio di venire allo scoperto, preferendo coprirsi dietro l’anonimato garantito da certi social network. Bisogna fare qualcosa, e bisogna farlo in fretta. Se necessario ricorrendo alle maniere forti. Ma non possiamo più permetterci il lusso di stare a guardare, in attesa del prossimo volo nel vuoto. A tutto c’è un limite, e se non c’è occorre metterlo, con buona pace dei teorici della libertà senza regole. Non si tratta di demonizzare il web, non è questo il punto. Né di fare di tutta l’erba un fascio. Ma neanche possiamo nasconderci i rischi di uno strumento, come la piazza virtuale, che continuiamo a ritenere in sé neutro, nella pia illusione che tutto dipenda dall’uso che se ne fa. Nossignori, le cose non stanno affatto così. Se certi social network, come questo Ask.fm che pare essere molto frequentato dai giovani, permettono che si possa ricoprire di contumelie il malcapitato o la malcapitata di turno, la cura è molto semplice: li si chiude. Punto. Perché è vero che non te lo obbliga il medico a frequentare quello o altri social, e se lo fai, lo fai essendo consapevole di ciò che ti aspetta; ma è altrettanto vero che non va bene il meccanismo in sé, il fatto cioè che ci si possa coprire dietro l’anonimato e sparare a zero contro le persone dando libero sfogo alle proprie paranoie. E non va bene per un motivo molto semplice: perché le parole pesano come pietre, e se usate male possono uccidere una persona che magari sta lì per gioco o per coltivare un hobby o semplicemente per condividere con altri coetanei pensieri, esperienze, emozioni, in modo innocente, per passare qualche ora. E visto che da inizio anno è già la terza volta che una ragazza si toglie la vita, dopo il suicidio di Carolina (Novara) e di Nadia (Padova), anch’esse quattordicenni, forse è il caso che ci diamo una mossa tutti quanti e si faccia qualcosa di concreto contro il cyberbullismo. Poi certo, c’è la questione per così dire a monte, ovvero come e in che modo stiamo crescendo i nostri giovani, sia nelle famiglie sia nelle scuole. E su questo fronte non si può non registrare – senza per questo voler in alcun modo sminuire la responsabilità degli infami che insultano e offendono sul web – una certa fragilità dei nostri giovani, spesso sintomo di un malessere interiore più profondo, di un vuoto esistenziale su cui noi adulti – in primis i tanti, troppi maestri che hanno pontificato e continuano a pontificare sulle magnifiche sorti e progressive di certi modelli educativi – faremmo bene a interrogarci.