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Napolitano bis, il bilancio del prof. Lippolis

È passato un anno dal “sacrificio” che portò Giorgio Napolitano al secondo storico mandato come presidente della Repubblica. Oggi il capo dello Stato ne traccia un bilancio in una lettera al Corriere della Sera. Formiche.net lo fa con Vincenzo Lippolis, professore di Diritto comparato all’Università degli studi internazionali di Roma, componente del comitato sulle riforme del governo Letta e autore con Giulio M. Salerno del saggio “La Repubblica del Presidente”. Lippolis, alle voci di imminenti dimissioni di Napolitano, risponde: “Non lasci ora”.

Professore, il presidente ha fatto bene ad accettare il secondo mandato?
A un anno di distanza, possiamo affermare che la riconferma del presidente Napolitano è stata un elemento positivo per il Paese. Il capo dello Stato ha proseguito l’azione che aveva caratterizzato il primo settennato, cioè il farsi guidare sempre dalla tutela dell’unità nazionale. E, come ha dimostrato la visita di Obama in Italia, Napolitano è rimasto un punto di riferimento e di garanzia per la rete di rapporti internazionali che in questi anni ha saputo costruire.

C’è stata continuità dunque con il primo settennato?
Pur con sfumature diverse, c’è stata continuità nella misura in cui Napolitano ha proseguito la sua opera per cercare un terreno di collaborazione tra le forza politiche uscite lacerate dopo un ventennio di contrapposizioni accese.

Ha fatto bene a risolvere con il governo Letta lo stallo istituzionale uscito dal voto dello scorso anno?
Tutto sommato, considero saggia la soluzione che il Presidente ha dato a quella crisi, cioè trovare il più vasto consenso tra i vari partiti. Mandare Bersani alle Camere senza una maggioranza precostituita sarebbe stato un azzardo. Il governo Letta ha consentito al Paese di mantenere un dialogo allargato per superare la difficile situazione.

In questo anno, il presidente è stato anche duramente attaccato, il M5S ha sollevato addirittura l’“impeachement” nei suoi confronti…
Non posso che ribadire la mia opinione già espressa in passato. Ritengo del tutto infondato dal punto di vista giuridico il tentativo di far valere la responsabilità del presidente della Repubblica per attentato alla Costituzione come recita l’articolo 90 della Carta.

Una delle critiche più ricorrenti che gli sono state mosse è stata il suo eccessivo interventismo.
Quest’anno conferma la valutazione che l’azione del presidente si allarga quando le forze politiche sono deboli e si restringe quando l’accordo tra di esse si rafforza. Lo abbiamo visto con la differenza di atteggiamento di Napolitano tra il governo Letta e quello di Matteo Renzi. Il primo aveva una base più traballante e il capo dello Stato è stato più interventista. Con Renzi, la maggioranza si è ricompattata e il presidente rimane vigile sull’operato dell’esecutivo ma indubbiamente il suo intervento è meno appariscente.

Vede altre differenze tra i due settennati?
Mi sembra ci sia una sfumatura diversa nei confronti dell’Europa. Napolitano è e resta un europeista convinto ma noto che l’europeismo rigido che ha caratterizzato alcune fasi, come durante il governo Monti, ha lasciato spazio a un atteggiamento diverso. Nel capo dello Stato sembra maturata la convinzione che l’Europa debba cambiare, debba favorire la crescita dei Paesi che ne fanno parte, in primis dell’Italia.

I politici hanno rispettato il messaggio che il capo dello Stato fece a camere riunite per la sua rielezione, richiamando l’interesse nazionale? Gli applausi quel giorno furono fragorosi ma poi…
Indubbiamente le forze politiche sulle riforme hanno aperto un dialogo ma ci sono ancora molte riserve mentali. Riscontro un uso politico delle riforme, ogni partito cerca di trarne il proprio vantaggio personale. E ciò mette a rischio il buon risultato finale.

Ma alla fine queste riforme giungeranno a compimento?
Credo che non ci sia ancora una risposta. Siamo a metà del guado. A parte Grillo che si è sempre chiamato fuori, da parte delle altre forze politiche ci sono stati elementi contradditori. Pensiamo per esempio a Berlusconi che prima ha compiuto uno strappo con il governo Letta ma poi ha trovato un accordo con Renzi sulle riforme. Arrivano segnali non univoci. Ciò che è certo è che ancora non ci sono risultati solidi sia sul terreno delle riforme istituzionali, sia su quello dell’economia.

Condivide la levata di scudi contro la riforma istituzionale proposta dal governo Renzi intrapresa dai suoi colleghi costituzionalisti a cui Napolitano dice di essere legato “da rapporti di stima reciproca e di consuetudine amichevole”?
Pur considerando perfettibile e bisognoso di modifiche il disegno di legge del governo, l’atteggiamento pregiudiziale di opposizione a ogni tentativo di riforma non ha giustificazione. Ci sono aspetti del sistema che vanno cambiati, primo fra tutti il bicameralismo paritario. Dire no pregiudizialmente alle riforme è sbagliato, poterne discutere nel merito è doveroso. Ciò che è stato proposto non va accettato a scatola chiusa.

La lettera di Napolitano al Corriere è foriera di un imminente passo indietro del capo dello Stato? Le voci a riguardo si rincorrono da giorni…
Non so interpretare se questa lettera contenga la volontà di Napolitano di lasciare o meno ma riterrei questa eventualità comunque intempestiva. Il percorso che lui ha delineato nel discorso di insediamento alle Camere non è ancora stato completato. La sua permanenza a mio avviso dovrebbe proseguire fino a quando non ci saranno risultati concreti e definitivi.



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