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Il braccio di ferro tra Renzi e Alfano sul lavoro

Questo articolo è stato pubblicato sulla Gazzetta di Parma

Ma quanto saprà essere strana, la strana maggioranza? Ora che il governo-Renzi comincia a convertire in provvedimenti, i primi, i suoi molti annunci, ecco che il Nuovo Centrodestra alza la voce sul non meno nuovo Centrosinistra. E’ il lavoro il tema della discordia. Mentre il partito di Angelino Alfano esige maggiore flessibilità nelle norme del decreto-legge all’esame della Camera, il Pd vuole innovarle, ma non troppo. Rispunta, così, l’eterno duello fra destra e sinistra anche all’epoca delle ideologie pur date per morte e sepolte.

La novità di oggi, nell’epoca per fortuna senza più muri, ma di una politica che spesso mescola nell’indifferenza ogni differenza, è proprio nel braccio di ferro in corso sul lavoro. Per riformare il quale ogni punto di vista è importante, ma non tutti i punti di vista sono uguali. C’è chi vuole liberalità, c’è chi vuole garanzie: rieccole, la destra e la sinistra risorte dall’oblio.

Il dissenso di Alfano sul testo in Parlamento rispecchia al meglio il peggio della nostra bipolare politica: lasciare con voce flebile o addirittura afona una delle due parti in causa. Quella parte, oltretutto, che da quasi settant’anni rappresenta il volere della “maggioranza non progressista” dei cittadini italiani. Nel suo piccolo, la partita Renzi-Alfano, gli opposti costretti a governare ciascuno forzando il proprio ruolo politico, riflette la grande assenza di un partito popolare e conservatore in Italia, come ne esistono in Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna. Tocca, allora, al “democratico” Renzi interpretare anche le esigenze del centro-destra. E tocca al “moderato” Alfano contrapporsi all’intruso, non però fino al punto tale da mortificare, a sua volta, le richieste di chi invece si riconosce nel segretario del Pd e presidente del Consiglio. Risultato? Il rinnovamento piccolo. Così piccolo da risultare, alla fine, invisibile.

La frana che si è aperta con la fine dell’era-Berlusconi, rende nebuloso ogni tentativo di cambiamento. Anche quello generazionale di Renzi, destinato a recitare la parte del leader di sinistra che piace alla destra. Anche quello ribelle di Beppe Grillo, chiamato a fare il leader d’opposizione che attacca tutti, a cominciare dalla sinistra (senza perciò dispiacere a destra, come l’ultimo voto politico ha rilevato). Quel bacino elettorale che ha sempre determinato la navigazione dell’Italia, adesso è disperso non solo fra gli almeno quattro/cinque e litigiosi partiti che si candidano a rappresentarlo (il più grande dei quali, Forza Italia, oggi s’accontenterebbe di superare il modesto venti per cento alle europee), ma anche fra le lusinghe di Renzi e le sirene di Grillo.

Tuttavia, una coalizione di centro-destra non può immaginare né di parlare per interposte persone, né di affidarsi a quel che resta del Polo diviso per quattro. Come mostrano gli esempi di Angela Merkel, David Cameron e perfino Mariano Rajoy, nei momenti di crisi sono sempre i popolari e i liberal-conservatori a cercare di rimettere le cose e i conti a posto. Poi sarà il turno dei socialdemocratici per meglio distribuire le ricchezze e sanare le ingiustizie: questo racconta la storia d’Europa.

Senza controparte, senza un programma di governo e una visione dell’Italia diversi e alternativi a quelli del Pd, ogni riforma diventerà riformetta, ogni speranza di voltare pagina sarà ridimensionata all’insegna del necessario compromesso con i “non rappresentati” del centro-destra. Renzi il Ventriloquo e Grillo il Comico, ecco gli effetti paradossali, ma evidenti dell’elettore non di sinistra che si trova ai margini, del Partito Conservatore Italiano che non c’è.

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