L’intervista di Luca Sappino comparsa ieri sul sito del settimanale ‘L’Espresso’ ad Ilaria Bonaccorsi, candidata di sinistra, seppur all’interno delle liste del Partito Democratico in vista delle elezioni del 25 maggio, ha del sorprendente.
Non tanto per la frase «io di sinistra candidata nel Pd» che campeggia sul titolo dell’intervista alla «storica, giornalista, editore del settimanale Left», quanto per i contenuti di quello che segue.
Si ritorna sull’argomento della battaglia interna al Partito Democratico per cambiare le cose all’interno di esso, per spostare l’asse ‘a sinistra’: tematiche usate da Nichi Vendola durante l’ultima campagna delle elezioni politiche di febbraio del 2013 in favore di un voto utile di berlusconiana memoria, per l’occasione tradotto anche a sinistra. Centro, sinistra. In sostanza, ancora del puro tatticismo.
Il fatto che la candidata giornalista Bonaccorsi affermi, riguardo all’unica lista a sinistra ‘L’altra Europa con Tsipras’: «spero vada bene. Il programma di Barbara Spinelli dovrebbe essere il nostro» e «Per quello spero che vada bene il Pd ma che vada bene anche Tsipras. Per spostare l’asse anche del Pse, devi avere una maggioranza di sinistra che spinge per cambiare. Vanno cambiati i trattati europei, sicuramente, perché qualsiasi economista ti dice che il pareggio di bilancio è un’idiozia di fine ottocento» non pone su un piano più indulgente le sue parole rispetto alla posizione da ella stessa assunta. Sembra di assistere ad una riabilitazione della cosiddetta sinistra del Pd che, tranne alzare gran polveroni come sulla fiducia al governo Renzi (si veda Civati), non ha ottenuto molto altro se non qualche minuto di diretta sui tg nazionali di prima serata.
Il fatto stesso che si affermi, di nuovo, la massima ‘per cambiare le cose c’è bisogno di un grande partito‘ è confermata ancora una volta dalle affermazioni della Bonaccorsi ma con due differenze sostanziali: il Partito Democratico, allo stato attuale di cose, non può essere preso in considerazione come portavoce di un’istanza alternativa al centrodestra o al Ppe dal momento che manifesta esso stesso l’essenza delle larghe intese, come mostra l’info grafica di sinistraineuropa.it. Prima come atto di responsabilità, poi come “non c’era alternativa”.
Peccato che l’atto di responsabilità ha portato l’inserimento del fiscal compact all’interno della Costituzione; il secondo, cioè la mancanza di alternativa, ha portato un doppio governo (Letta-Renzi) che è espressione di un ecosistema a parte – quello parlamentare – che tutto è tranne che rappresentativo del Paese. La seconda differenza, seppur ovvia, è che il Pd non è il partito di riferimento della sinistra italiana.
Come può esso essere il partito di riferimento di un’area politica che, storicamente ed eticamente, non ha nulla a che vedere con la nascita del Pd? Se un segretario del Pd arriva a definirsi «liberista di sinistra» è chiaro e manifesto che l’americanizzazione della politica, in Italia, ha mietuto vittime a destra e a sinistra.
E poi, un partito, un’organizzazione che non c’è, va ricostruita.
Il fatto stesso che un partito come il Pd, che si fregia di essere un lontano trisavolo del Pci, ponga in essere l’accettazione delle regole economiche del gioco, per dirla alla renziana, distinguendosi dall’Ncd – per esempio – solo sulle sfumature dei diritti civili, dopo l’abolizione di quelli fondamentali e di quelli del (e sul) lavoro, è la manifestazione di un’allontanamento dai valori di quel trisavolo da cui si fregia di discendere.
Si potrebbe continuare così ricordando come il 25 aprile, ad esempio, le bandiere del Pd erano completamente assenti (perlomeno a Roma che, vuoi o non vuoi, è comunque la Capitale…); si potrebbe proseguire affermando chiaramente che la parola sinistra con Partito democratico non sono più termini accostabili.
Si accetti questa cosa una volta per tutte.
Sinistra e Pd non sono termini accostabili
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