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Crisi Ucraina, ecco perché l’accordo di Ginevra sta fallendo

Pubblichiamo un articolo dell’Ispi tratto da un focus sulla crisi ucraina

Bisogna sperare in un Ginevra II prima delle elezioni presidenziali ucraine del prossimo 25 maggio. Come dimostrano le tensioni crescenti nell’est del paese di queste ultime ore, infatti, l’intesa di Ginevra del 17 aprile tra i capi delle diplomazie di Russia, Ucraina, Usa e Ue è stata tutt’altro che risolutiva. Una delle ragioni è che il compromesso trovato e firmato dalle parti, non è, come è stato definito, un “accordo”, o “l’accordo di Ginevra”, ma è piuttosto una meno delineata prima intesa dopo settimane di mancato tavolo negoziale tra Kiev e Mosca; una dichiarazione di intenti importante, ma generica, a favore di una de-escalation della crisi; una sintesi condivisa, ma solo abbozzata, di quali dovrebbero essere i principi fondanti di un (solo eventuale) futuro accordo.

INTESA SENZA ACCORDI
Nel documento non si ritrova, infatti, alcuna definizione di “fasi” progressive, né un termine ultimo entro cui questa de-escalation dovrebbe realizzarsi; non si chiede alla Russia di ritirare le truppe dal confine; non vengono nominate né la Crimea né la Nato; non è delineata alcuna forma di coordinamento tra Kiev e Mosca per far cessare da un lato le azioni dei filorussi, dall’altro le attività dei gruppi paramilitari estremisti ucraini. Il paradosso, anzi, è che nella sua mancanza di chiarezza l’intesa di Ginevra si presta a essere interpretata liberamente, tanto da essere subito diventata appiglio e giustificazione di tutte le parti firmatarie per radicalizzare le proprie minacce e posizioni e per non essere le prime a fare il passo indietro necessario.

UN COMPROMESSO TEMPORANEO
Il compromesso di giovedì 17 aprile ha rappresentato un momento di possibile svolta perché la Russia, per la prima volta dalla fine di febbraio, ha accettato di sedersi al tavolo con rappresentanti di un governo ad interim ucraino di cui si è sempre rifiutata di riconoscere la legittimità: soprattutto in vista delle elezioni del 25 maggio, questo fa sperare che a determinate condizioni, tra cui l’approvazione di una Costituzione ampiamente federale e la neutralità politico-militare del paese, Mosca sarebbe forse disposta a dialogare con Kiev e il suo futuro presidente. È ancora più importante che dopo una sola giornata si sia riusciti inaspettatamente a trovare una posizione comune, ad esempio nel chiedere e prevedere un ruolo centrale dell’OSCE «nell’assistere le autorità ucraine e le comunità locali nell’immediata esecuzione delle misure di de-escalation concordate».

SFIDUCIA RECIPROCA
Ciononostante, la sfiducia reciproca delle parti ha prevalso già nelle ore successive ai negoziati, complicando, invece di concretizzare, tutte le questioni concordate.

L’ASTENSIONE DALLA VIOLENZA
A fronte del primo punto, secondo il quale «le parti devono astenersi da qualunque atto provocatorio, di violenza o intimidazione», tutti hanno subito rettificato: il ministro degli Esteri ucraino, Andrej Deshchytsia, ha sottolineato che l’operazione “antiterrorismo” nell’est non sarebbe stata interrotta, gli Usa si sono detti scettici e pronti a nuove sanzioni contro Mosca nel caso di non rispetto dell’accordo; sempre lo stesso giorno, il presidente Putin ha avvertito che la Camera Alta del Parlamento l’aveva autorizzato a intervenire militarmente in Ucraina nel caso gli eventi fossero precipitati.

LA RELAZIONE CON I RIBELLI
Il secondo punto dell’intesa prevede che in cambio di un’amnistia governativa «tutti i gruppi illegali armati devono essere disarmati; tutti i palazzi occupati illegalmente devono essere restituiti ai legittimi proprietari e sgomberati», come sgomberate devono essere «tutte le strade, le piazze e gli altri luoghi pubblici delle città ucraine». La questione del disarmo dei gruppi illegali, presupposto fondamentale della de-escalation, è volutamente formulata in maniera ambigua perché non è stato possibile trovare un compromesso, ed è il nodo in assoluto più critico. Si tratta di una condizione inserita già nell’accordo del 21 febbraio (con riferimento ai manifestanti di Euromaidan), che i russi a oggi non hanno mai visto rispettata. Soprattutto, Kiev intende per “illegali” i filorussi che occupano da settimane i palazzi governativi delle città orientali, Mosca intende tanto il governo ad interim ucraino, quanto i rappresentanti armati di Pravyi Sektor presenti nell’est del paese.

IL NODO DELLA COSTITUZIONE
Nel documento firmato a Ginevra si afferma poi genericamente che l’Ucraina si doterà di una Costituzione “federale”, concedendo ampia autonomia alle regioni del paese confinanti con la Russia. Se già il timore di Kiev è che questa “autonomia” non sia altro che il passo che precede la secessione – motivo valido per provare a limitarla – fino a quando le tensioni non diminuiranno è impensabile che l’improvvisato parlamento ucraino riesca a portare avanti un serio dibattito di riforma costituzionale. Il problema è che i tempi sono strettissimi, perché l’intesa di Ginevra sottintende che Kiev dovrebbe riuscire a proporre un progetto di riforma con il beneplacito di Mosca prima delle elezioni di fine maggio.

VERSO UN GINEVRA II?
Al di là delle conseguenze che questa crisi avrà nel lungo termine sugli equilibri geopolitici globali, un Ginevra II dagli esiti più concreti – che ora sembra lontanissimo – serve urgentemente a Kiev proprio in vista di queste elezioni. Per riuscirci, il primo passo del governo di Yatsieniuk potrebbe essere quello, difficilissimo, di provare a dialogare direttamente con i filorussi, cercando di limitare le interferenze esterne. Lo scontro così radicalizzato tra centro ed est del paese va, infatti, a vantaggio dei russi, che possono dimostrare l’incapacità del governo “illegittimo” di governare il paese, e non è rappresentativo della reale volontà di queste regioni, in cui a differenza della Crimea la comunità russofona non solo non è la maggioranza, ma è tendenzialmente contraria sia all’intervento militare russo (come a quello ucraino e della Nato), sia all’indipendenza da Kiev.

LA STABILITÀ DEL PAESE
Il punto di partenza di un’eventuale Ginevra II dovrebbe poi essere la questione affrontata en passant da “Ginevra I”, e cioè la considerazione «dell’importanza della stabilità economica e finanziaria dell’Ucraina» e «la prontezza delle parti» a discutere la maniera di sostenerla. Il tema è prioritario. Secondo un sondaggio indipendente dell’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev (KIIS) pubblicato il 26 aprile, la popolazione dell’est dell’Ucraina teme più le conseguenze economiche che non quelle politiche della crisi, consapevole che, in mancanza di un credibile e urgente pacchetto di aiuti occidentali, la rinuncia a Mosca rappresenterebbe in ogni caso la prospettiva peggiore.

Carolina De Stefano è ISPI Research Trainee


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