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Il futuro politico dell’Iraq

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Secondo le regole non scritte del sistema politico iracheno, dalle elezioni parlamentari del 30 aprile dovrà scaturire una coalizione di governo centrata su una compagine a guida sciita che dovrà accordarsi con una credibile rappresentanza della variegata comunità sunnita e con il blocco curdo.

Dopo le elezioni del 2005 e del 2010 e le complesse trattative nelle quali furono rilevanti le paradossalmente convergenti influenze statunitensi e iraniane, l’espressione di questi equilibri fu affidata a Nuri Al-Maliki, rappresentante di un partito sciita minore che alla fine del primo mandato divenne il primo ministro di un’ampia forza politica (Stato di Diritto) con pretese di composizione intersettaria.

Grazie a un abile uso del potere e ai successi sui piani della sicurezza e della ripresa economica, nelle elezioni del 2010 questa forza quasi uguagliò il blocco laico guidato da Ayad Allawi (Iraqiya) nel quale confluivano la larga maggioranza dei sunniti e fasce della popolazione sciita stanche dei conflitti interconfessionali.

Dopo le elezioni, Maliki recuperò con la facilitazione iraniana altre forze sciite ed in particolare i sadristi per ricomporre un fronte maggioritario in Parlamento e ottenere nuovamente l’incarico di formare un governo comprensivo delle altre forze politiche.

POWER SHARING FALLITO
Nel secondo mandato, ancora più che nel primo, non si realizzò tuttavia il “power sharing” posto a base della grande coalizione faticosamente formata. Il potere fu sempre più accentrato attorno al Primo Ministro.

Autorevoli esponenti sunniti nelle istituzioni furono accusati di favorire il terrorismo rialimentato dal conflitto siriano, e il solco tra Maliki e il mondo sunnita fu allargato dalla violenta repressione di proteste, incoraggiate dalle primavere arabe, per le promesse non mantenute a forze politiche e milizie tribali che negli anni precedenti avevano sconfitto Al-Qaeda.

Anche i rapporti con i curdi si sono deteriorati, parallelamente a quelli con la Turchia diventata principale sponsor esterno degli stessi curdi e, in competizione con l’Arabia Saudita, di gruppi sunniti. Difficoltà sono infine emerse con gli altri grandi partiti sciiti ugualmente insofferenti dei metodi accentratori del Primo ministro.

Rispetto al 2010, una modifica alla legge elettorale, proporzionale con liste circoscrizionali e preferenze, ha abolito un premio ai grandi partiti nell’attribuzione dei resti a livello nazionale, contribuendo cosi ad una proliferazione delle liste.

Iraqiya si è frantumata in vari spezzoni tra i quali i due maggiori di chiara connotazione sunnita guidati rispettivamente dal Presidente del Parlamento, Al-Nujafi, forte soprattutto nella provincia di Mosul e a Baghdad, e dal vice Primo ministro Saleh Mutlak, nazionalista, con venature post baathiste, che nella sua provincia di Anbar dovrà fronteggiare la violenza jihadista e settori tribali recuperati da Maliki.

Dallo Stato di Diritto di Maliki sono uscite componenti più o meno rilevanti a livello locale. Alcune hanno deciso di correre da sole, mentre altre sono passate all’Isci (gia’ Sciri), storico partito sciita di opposizione a Saddam Hussein, ancora guidato dalla dinastia religiosa degli Al-Hakim.

Nella prima fase del nuovo Iraq questa era la forza più consistente. Sensibilmente ridimensionata nelle elezioni locali del 2009 e nelle legislative del 2010 essa è di nuovo in ascesa, come ha dimostrato nelle provinciali del 2013.

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Maurizio Melani è Ambasciatore d’Italia.


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