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Avanti tutta con l’unione europea delle pensioni

Si sta avvicinando il “semestre europeo” non nel senso secondo cui gli Stati dell’Unione Europea (UE) devono armonizzare il calendario dei loro documenti di politica economica (e nei limiti del possibile) renderli compatibili gli uni con gli altri per ottenere sinergie. Nel senso, invece, secondo cui l’Italia avrà la Presidenza degli organi di governo dell’UE – un’occasione che si riproporrà tra 14 anni (sempre che, come probabile, le istituzione UE non vengano aggiornate).

UNA NUOVA MAASTRICHT

In tempi non sospetti (quando Enrico Letta era Presidente del Consiglio), anche sulla base di una conversazione con il Primo Ministro della Finlandia, proposi che durante il semestre (che inizia il primo luglio) l’Italia prendesse l’iniziativa di “fare il tagliando” al trattato di Maastricht, se del caso riscrivendolo per tenere conto delle lezioni apprese nel quarto di secolo da quando è stato negoziato. Questa strada sembra difficile. Non solo alcuni Stati dell’unione monetaria temono che, nell’attuale contesto, un nuovo accordo non venga ratificato. Ma il parlare stesso di una nuova Maastricht potrebbe trasformare in tempesta il vento anti-UE che già tira in maniera abbastanza forte.

UN’UNIONE EUROPEA DELLE PENSIONI

Tuttavia, Renzi potrebbe rilanciare un’idea che sembrava morta e seppellita: quella di un’unione europea delle pensioni. E’ un’idea attraente perché la mancanza di un sistema previdenziale europeo unificato è un ostacolo alla circolazione dei lavoratori ed induce il capitale umano migliore ad andare là dove i sistemi previdenziali sono migliori non solo in termini di spettanze attuali ma soprattutto di aspettative di futura solidità. Il sistema attuale di ricongiunzioni non solo abbassa le spettanze ma è altamente inefficiente: mia moglie ha atteso quattro anni perché l’Inps istruisse la ricongiunzione e liquidasse le spettanze. E’ un’idea che attira non solo l’elettorato vicino alla quiescenza ma anche e soprattutto quello giovane che si sta abituando ad una sempre maggiore mobilità tra uno Stato e l’altro dell’UE.

COME AFFRONTARE IL PROBLEMA

Una decina di anni fa in vari convegni internazionali il problema venne affrontato. Un gruppetto di italiani (Elsa Fornero, divenuta Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Daniele Franco, oggi Ragioniere Generale dello Stato, Mauro Maré, oggi Presidente del Mefop, Nicola Sartor, sottosegretario dell’ultimo Governo Prodi, ed il vostro chroniqueur) erano un po’ i “clorici vaganti” in quei convegni. La Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione organizzò anche, a mezzadria con la Banca Mondiale, una tre giorni internazionale nella Reggia di Caserta. Allora la proposta di Robert Holzmann (all’epoca Vice Presidente della Banca Mondiale) di estendere gradualmente il meccanismo a contributi figurativi introdotto quasi contemporaneamente in Italia ed in Svezia alla metà degli Anni Novanta. Da allora, però, la situazione occupazionale, specialmente dei giovani, è cambiata drasticamente: saranno sempre di più coloro che avranno impieghi a termini con una vasta tipologia di contratti, anche in differenti Paesi.

LA PROPOSTA DELL’EIOPA

Il lavoro è continuato, silenziosamente. Soprattutto da parte dell’EIOPA – European Insurance and Occupational Pensions Authority, acronimo poco conosciuto nella galassia delle sigle europee. Un’interessante proposta è in un documento ancora inedito presentato a metà aprile alla conferenza annuale dell’EIOPA a Bratislava da due giuristi specializzati in previdenza, P. Borsjé e. H. van Meerten. La proposta, peraltro ben delineata, consiste nel fare confluire contributi pubblici e privati in Personal Pension Plans (PPP) uniformi per tutti i lavoratori europei che potrebbero scegliere se utilizzare questa strada o sistemi previdenziali nazionali. E’ un’idea su cui c’è ancora molto lavoro da fare, ma che potrebbe favorire l’avvio per uno stato sociale europeo tale da equilibrare disfunzioni dell’unione monetaria.


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