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La democrazia regressiva di Susanna Camusso

L’attacco frontale della Cgil di Susanna Camusso al premier Matteo Renzi è di quelli irricomponibili, ma destinati ad allargarsi forse neppure tanto gradualmente. Perché ha, al suo centro, non una questione rivendicativa ordinaria, ma la concezione stessa della democrazia in un Paese moderno.

La Camusso addebita allo sbrigativo governo Renzi una concezione di «autosufficienza dell’esecutivo», considerandola estranea agli antichi riti concertativi paracostituzionali che, invero, la carta del ’48 neppure prevede e quindi non riconosce. Renzi replica con freddezza che i tempi sono cambiati per tutti: e quindi anche per una Cgil avvezza a sopraffare l’intero mondo sindacale e ad agire, da sempre, prepotentemente, come un soggetto principale – superiore agli stessi partiti -, secondo una concezione e regole corporative persistenti in Italia malgrado l’ordinamento fascista sia morto da lunga pezza.

L’affondo della Cgil ha in sostanza irritato le altre confederazioni sindacali, l’esecutivo, parte consistente del Parlamento e le stesse opposizioni, che si vedono scavalcate dalle pretese di una signora che, non paga del mezzo fiasco polemico riscontrato nel concertone dell’ultimo 1° maggio, in sede di congresso nazionale di Rimini è partita decisamente all’attacco di un governo che non considera più neppure amico e lo bolla addirittura come un’esperienza negativa per gli assetti democratici del paese; peggio, come il centro di una distorsione del sistema democratico che, a dirla tutta, nel corso dei decenni, e non soltanto negli ultimi due, è stato riguardato dal principale sindacato come una cosa propria, orgoglio e forza di una democrazia cigiellocentrica e indiscutibile.

Si potrebbe persino dire che la Camusso, donna energica e non disavveduta, estremizza la posizione del suo sindacato per sottrarre spazio all’indomita Fiom con i suoi esponenti più battaglieri. Ma la questione emersa è ben più vasta e rilevante di una contesa interna da non concludersi con l’affermazione di Landini e soci, non certo rappresentativi di una porzione maggioritaria del popolo italiano.

Questa vicenda evidenzia che la Cgil, che trovò nella concertazione voluta dal governo Ciampi una polizza vitalizia di sopravvivenza e di leadership della complessità sindacale, avverte che anche per il sindacato non c’è più spazio per veti; come non ce n’è per alcun’altra corporazione – potente e vincolatoria – abituata a condizionare la vita pubblica e le stesse istituzioni democratiche.

Qui sì gli italiani che vogliono tornare liberi stanno non con la Camusso ma con Renzi, e con quanti intendono sostenerlo nel rovesciare totalmente pigrizie e privilegi sempre poco trasparenti. È bastato che Renzi avvertisse che il governo non subirà più la logica dei permessi sindacali (non lavoro, lautamente retribuito), da sempre condannati dai moderati italiani, per provocare una sollevazione di chi, di quei distacchi, da sempre beneficia politicamente e finanziariamente. L’assalto al decisionista Renzi è l’opposto di una difesa della democrazia sostanziale dei cittadini.


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