L’Elisir d’Amore di Gaetano Donizetti è opera popolarissima e, quindi, allestimenti di successo vengono ripresi anche per meglio ammortizzare costi di messa in scena, operazione essenziale in questi anni di vacche magre. A La Fenice, ad esempio, viene riproposta quasi ogni stagione una bella edizione (regia di Bepi Morassi e le scene i costumi di Gianmaurio Fercioni) tradizionale ma accattivante. A Palermo si è vista la messa in scena curata da Damiano Michieletto (scene di Paolo Fantin, costumi di Silvia Aymonino): la piccolo comunità di un villaggio della campagna basca è lontana.
LA PRODUZIONE IN SCENA A ROMA
Siamo in una spiaggia della Spagna di Almodovar prima della crisi finanziaria: colori sgargianti, scivoli acquatici, coppie che amoreggiano e, soprattutto, tanta , tanta gente in palcoscenico. A Roma è in scena sino al 14 maggio, la coproduzione (con la San Francisco Opera) del lavoro che sfoggia, per l’azione scenica, un’équipe (Ruggero Cappuccio per la regia, Nicola Rubertelli per le scene e Carlo Poggolio per i costumi) che viene dal teatro sperimentale campano, un direttore musicale di grande esperienza (Donato Renzetti) e quattro interpreti di che appartengono alle giovani leve del teatro in musica , Rosa Feola, Alessandro Luongo, Adrian Sempretrean e soprattutto Antonio Poli.
Foto di Corrado Maria Falsini
PRIMA E SECONDA EDIZIONE
Molto tradizionale la prima edizione. Innovativa ma discutibile, la seconda . Originale la terza, pensata come spettacolo ‘portatile’ con una scenografia essenziale in grado di adattarsi a vari tipi di palcoscenico tanto che qualche recensore ha pensato che la vicenda fosse stata trasferita ad un circo. A me pare invece svolgersi in un assolato villaggio campano (forse, dati i colori, nei pressi di Benevento) pieno di clown e giocolieri ed in cui Dulcamara arriva mascherato da Renato Brunetta (il quale non ha mai mancato di senso dell’humour).
Foto di Luciano Romano
THE POLITICS
Prima di commentare l’edizione romana , è utile fare un cenno a the politics deL’Elisir d’Amore , argomento mai trattato ma non così peregrino se nel lontano settembre 1994 Ugo Gregoretti ne mise una versione aggiornata ai tempi d’oggi e tra i cui protagonisti c’erano Silvio Berlusconi, Giuliano Ferrara, Gianni Letta e Gianni Pilo – tutti personaggi allora (ed almeno tre dei quattro anche ora) con ruoli pubblici di rilievo. Dove è the politics di un capolavoro composto in due settimane per un piccolo teatro milanese (quello della Canobiana) da un Donizetti maturo ma già con la malattia che lo portò in manicomio ed alla morte precoce dopo avere freneticamente composto 69 opere oltre ad un enorme numero di spartiti per camerista, musica da chiesa e chi-più-ne-ha-più-ne-metta?
DI COSA PARLIAMO
Non tanto nella pièce di Eugène Scribe da cui è l’opera tratta ma dal modo in cui Felice Romani scrisse il libretto e Donizetti lo musicò. Considerata spesso un’opera comica , e condita da frizzi e lazzi (errore in cui cade anche Capuccio ma che porta pubblico in sala), è un “melodramma giocoso”, dello stesso genere delle opera semi-serie come La Gazza Ladra , Nina Pazza per Amore di Paisiello, Lodoiska di Mair,La Sonnambula di Bellini . Era un genere di teatro in musica molto popolare all’inizio del Diciannovesimo Secolo . Lo stesso Donizetti compose numerose opere semi-serie tra cui Linda di Chamonix e Il Furioso nell’Isola di San Domingo (spesso in scena negli Stati Uniti nel periodo della fine tormentate della Presidenza Nixon e della guerra in Viet-Nam) . Il genere piaceva al pubblico proprio perché i tempi erano difficili (guerre, rivoluzioni, tensioni politiche e sociali) in quanto coniugava il dramma con momenti di evasione comica. L’opera è del 1832; il lavoro di Scribe di poco più di un anno prima, l’anno dei moti descritti vividamente da Victor Hugo negli ultimi capitoli de Les Miserables. In mettere in scena L’Elisir occorre tener conto di come gli elementi drammatici e quelli ironici (mai comici) sono ricamati come in un merletto.
LA TRAMA
Partendo da un assunto banale (un presunto filtro magico che suscita le reazioni di uno sprovveduto villaggio), si incontrano ingenuità e poesia con un equilibrato gioco delle parti. Il duo Adina-Nemorino non è lo stereotipo dei tradizionali innamorati ma ha una spigliata dimensione umana. Il duo Belcore-Dulcamara è colmo d’ironia fantasiosa e bonaria. Soprattutto, Donizetti si diverte a mettere in berlina l’opera seriametastasiana , allora ancora di moda in certi teatri e ceti sociali. Prende per il naso anche la nuova borghesia arricchita (dalla “possidente” Adina e al lontano ricco zio di Nemorino) , nonché gli eserciti diventati arroganti durante le guerre napoleoniche (e tali rimasti dopo di esse) ed i politici imbonitori che finiscono con il credere in quel che promettono. Un quadro, quindi, di una società al tempo stesso in crisi ed in transizione . Per questa ragione, l’equilibrio orchestrale è instabile con i fiati (principalmente i tromboni) che tendono a sovrastare gli altri strumenti e in certi momenti a coprire i cantanti attori. E sotto il profilo vocale si transita gradualmente dal duettino iniziale alla grande aria ‘larmoyante’ (ossia in lacrime) per tenore (Una futiva lacrima) al breve ma delizioso rondò per soprano. Pure la musica diventa politica in questa commedia tra il larmoyant e l’ironico.
LE MUSICHE
Sotto il profilo musicale, Donato Renzetti è un concertatore specializzato nel repertorio di fine settecento; ha posto l’orchestra al servizio delle voci. Alessandro Luogo (Dulcamara) e Adrin Sampetrean (Belcore) , anche se giovani, conoscono bene i ruoli. Rosa Feola viene dalla Scuola d’Opera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia dove il 18 maggio canterà in Traviata. . L’applausometro, però, è andato alle stelle per il giovane Antonio Poli, specialmente quando ha affrontato la temibile “Una furtiva lacrima”, in cui ha dato prova di grande maestria, sfidando il Si bemolle della prima strofa e andando dolcemente al Re bemolle della seconda al Do di petto e al Sì naturale finale. Pilo aveva cantato il ruolo al Teatro dell’Opera nel 2011 nel secondo cast e lo avevamo ascoltato sempre a Roma nella parte di Ismaele del verdiano Nabucco e a Salisburgo ne ‘I Due Figaro’ di Mercadante. E’ giovane . Solo adesso appare in piena maturità sia scenica sia vocale. Da quando Francesco Meli affronta ruoli più ‘pesanti’ è l’unico tenore lirico leggero italiano che può cantare parte importante del repertorio di fine settecento – inizio ottocento. E’ importante che lo coltivi con cura senza cadere nella tentazione di affrontare ruoli come il Duca di Mantova o Alfredo.