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La via per la crescita e il paradosso del costo del lavoro

“Bisogna essere leggeri come una rondine non come una piuma”
(Paul Valery)

“Inventiva e agilità”. Sono queste caratteristiche ad aver consentito alle aziende italiane più dinamiche e innovative di avere successo sui mercati internazionali, assicurando negli ultimi anni una complessiva tenuta dell’export italiano.

Ad affermarlo è un recentissimo paper del Fondo Monetario Internazionale, che non dimentica di mettere nella giusta evidenza come queste imprese di successo sono nella maggior part dei casi organizzate in sistemi di rete o in veri e propri distretti industriali.

Questo non significa che in Italia vada tutto a meraviglia, anzi. La competitività delle aziende tricolori è in sofferenza. E i tecnici del Fondo indicano la necessità di un importante percorso di riforme per superare questa fase. Come CONFASSOCIAZIONI va predicando da tempo, non uno shock economico, ma uno shock istituzionale.

Riforme, scrive l’FMI, necessarie a “innovare ed espandere” le dimensioni di impresa, riforme volte a superare “gli impedimenti strutturali che hanno depresso la produttività italiana in senso più ampio”, riforme strutturali “per rimuovere le barriere alla crescita delle imprese e incoraggiare investimenti diretti dall’estero”, riforme che abbattano rigidità e burocrazia.

Se questi sono i problemi, e se le chiavi del successo sono invece innovazione e organizzazione a rete, non stupisce che gli economisti dell’FMI stimino il costo del lavoro “sempre meno importante” nel determinare la competitività del nostro sistema-Paese. Una valutazione paradossale, se calata nella realtà italiana in cui si sta varando un’ennesima revisione delle forme contrattuali con il malcelato intento di abbassare di qualche decimale il costo del lavoro, particolarmente a discapito delle donne e dei lavoratori più giovani.

Spostare in avanti la soglia della competizione e del confronto, lavorare su nuove idee e nuove frontiere, stressare l’innovazione e la professionalità, vincere la guerra della competenze per evitare a tutti i costi l’unica guerra che non dovremmo mai combattere: la guerra dei poveri, quella dei prezzi al ribasso e dei decimali che non fanno crescita e occupazione.


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