Un tribunale sudanese ha applicato la sharia, la legge coranica in vigore nel paese africano dal 1983, ad una giovane madre di un bambino piccolissimo (20 mesi), e in attesa di un secondo figlio che, sempre stata cristiana (è figlia di una etiope ortodossa), ha avuto il torto di crescerlo nella religione di Gesù. Infatti, secondo l’interpretazione del giudice di Khartoum, basata sulla legge islamica, la figlia di un musulmano (perché il padre della ventisettenne condannata a morte, che l’ha abbandonata in gioventù, è musulmano), rimane “a prescindere” seguace di Maometto e, quindi, soggetta alla sharia.
La sentenza contro di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, condannata all’impiccagione perché ritenuta colpevole del reato di “apostasia”, sta suscitando una mobilitazione internazionale, richiamata oggi in prima pagina dal quotidiano “ufficioso” della Santa Sede. L’Osservatore Romano, sulla questione, ha mostrato apprezzamento per «Il personale impegno sulla vicenda da parte del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Kimoon» riferito in queste ore dal ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, «che lo ha incontrato a New York» (cit. in La mobilitazione del mondo contro la condanna di Meriam, in L’Osservatore Romano, 18 maggio 2014, p. 1).
LA DENUNCIA DELLA COMMISSIONE USA SULLA LIBERTA’ RELIGIOSA
Nonostante la Costituzione del Sudan del 2005 sancisca ufficialmente la garanzia dei diritti umani e la libertà di fede, dopo la secessione del Sud Sudan il presidente Omar El Bashir aveva esplicitamente dichiarato che il Sudan si sarebbe dotato di una Costituzione interamente basata sulla sharia. Il Rapporto Annuale 2013, pubblicato dalla Commissione sulla Libertà Religiosa Internazionale degli Stati Uniti (USCIFR), aveva quindi incluso il Sudan fra le otto nazioni «che destano particolare preoccupazione» (“countries of particular concern”) ma, anche d’allora (maggio dello scorso anno), le agenzie e diplomazie internazionali non si sono molto mosse.
Ora un membro dell’ambasciata britannica in Sudan, che ha preferito restare anonimo, ha dichiarato dopo il caso Meriam al giornale Morning Star News che «Il Regno Unito considera la libertà di pensiero, coscienza e credo, così come il diritto a cambiare la propria religione, come diritti umani fondamentali garantiti dalla legge internazionale. Siamo molto preoccupati per la sentenza di apostasia comminata, il governo del Sudan deve rispettare i suoi impegni internazionali sulla libertà religiosa» (Leone Grotti, Sudan, madre cristiana condannata a morte per apostasia, in Tempi.it, 14 maggio 2014).
LE REAZIONI DEL MONDO CATTOLICO
Reazioni alla condanna a morte per Meriam stanno giungendo dal mondo cattolico italiano, in particolare dal noto giornalista e scrittore Antonio Socci. In un lungo articolo pubblicato sul quotidiano “Libero” di oggi, infatti, l’autore dell’ultimo best seller Tornati dall’Aldilà, ha lanciato un appello a Papa Francesco, affinché faccia «sentire il suo (ben noto) “Vergogna! Vergogna! Vergogna!” ai despoti sudanesi e in tutte le sedi internazionali» (Che parli il Papa! Tuoni per salvare Meriem dal boia!, 18 maggio 2014).
«Non si può credere infatti – ha concluso il suo provocatorio editoriale Socci – a quello che fa trapelare il regime sudanese col solo scopo di allentare la pressione internazionale: basti pensare che qualche anno fa la Corte Suprema stabilì che per gli apostati, che avevano abbandonato la pratica religiosa islamica, convertendosi al cristianesimo, era costituzionale addirittura la crocifissione. Inoltre per Meriem resta in ogni caso certa la condanna alle cento frustate come pena per aver sposato un cristiano. Per questo è necessario che l’indignazione si faccia sentire come è accaduto finora e che aumenti».
La sorte della giovane mamma sudanese sarà decisa nelle prossime ore. Il tribunale sentenzierà l’impiccagione di Meriam perché si è rifiutata di rinnegare Gesù Cristo e di convertirsi all’Islam, oppure sarà salvata da quella tragica sorte solo se la pressione internazionale si farà sentire contro la tirannia di Karthoum. Al momento, non c’è nessuna garanzia che il verdetto possa essere rivisto e, pertanto, ben venga l’intervento del Papa ma, da cittadini e da cristiani, chiediamo alla nostra diplomazia di fare tutto il possibile perché, quella mamma, non debba morire!