Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani apparso su Italia Oggi , il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
I numeri non dicono tutto, ma spesso aiutano a capire. Ciò è vero soprattutto nella politica europea, dove il pallino è da anni nelle mani della cancelliera Angela Merkel. Come si spiega il suo potere? Certo, la Germania è il Paese con l’economia più forte, ma anche la Gran Bretagna e la Francia sono potenze economiche, eppure non contano quanto la Germania sul piano politico. C’è però una differenza importante: la Germania della signora Merkel è anche la Germania della Cdu, il partito dei cristiano-democratici tedeschi, da decenni vero fulcro del Partito popolare europeo (Ppe). E proprio l’influenza egemonica che la Cdu esercita sul Ppe, la famiglia dei partiti europei di centro-destra, consente alla Merkel di detenere le chiavi del potere anche nelle principali istituzioni europee.
CHI OSA CONTRADDIRE MERKEL
Prendiamo il Consiglio dei capi di Stato e di governo (Eurosummit), a cui spettano le decisioni politiche più importanti: sui 28 Paesi membri, 16 sono guidati da esponenti del Ppe. Questo ha consentito alla Merkel di avere la maggioranza assoluta in tutte le decisioni strategiche, a cominciare dalle politiche di austerità. Tra i capi di Stato e di governo del Ppe, vi sono lo spagnolo Mariano Rajoy, il polacco Donald Tusk, l’ungherese Victor Orban: nessuno di questi può fare ombra a frau Angela. Tanto meno i rappresentanti Ppe di Paesi meno influenti come Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Romania, Portogallo, Svezia e Cipro. L’unico che, in passato, ha provato a contraddire la Merkel è stato l’ex premier italiano Silvio Berlusconi: si è visto come è andata a finire nel novembre 2011. Da allora, il rappresentante italiano nell’Eurosummit non fa più parte del Ppe.
LE POSIZIONI PRO E CONTRO MERKEL
Ora c’è il premier Matteo Renzi, che sta con l’S&D (Socialisti & Democratici), antagonista europeo del Ppe, ma non risulta che abbia assunto posizioni contrarie alla Merkel nel Consiglio europeo del 20-21 marzo, né in altre sedi. L’unico vero bastian contrario della cancelliera rimane il premier inglese David Cameron, conservatore, mentre il presidente francese Francois Hollande – che prima della elezione prometteva fuoco e fiamme contro Berlino – ha ricomposto l’asse franco-tedesco in auge ai tempi di Nicolas Sarkozy. Dettaglio di un certo peso politico: il presidente dell’Eurosummit è il belga Herman Van Rompuy, considerato un protegé della cancelliera, da sempre nel Ppe.
LA COMMISSIONE EUROPEA
Anche l’altra istituzione europea che conta, la Commissione Ue, è guidata da un uomo del Ppe: è il portoghese José Manuel Barroso, in carica da dieci anni, avendo ricevuto un secondo mandato nel 2009. Su 28 commissari (uno per ogni Paese membro dell’Ue), quelli schierati con il Ppe sono 13. Non sono la maggioranza assoluta, ma grazie all’alleanza con i liberal-democratici hanno potuto fare il bello e il brutto tempo. Un nome per tutti: il finlandese Olli Rehn, liberale, commissario europeo per gli affari economici e monetari, pur non facendo parte del Ppe, è stato un vero mastino della politica di austerità.
IL PARLAMENTO EUROPEO
Anche il Parlamento europeo, benché privo di poteri e con un presidente socialista (Martin Schulz), negli ultimi dieci anni è stato dominato dal Ppe, che nell’ultima legislatura poteva contare su 265 seggi su 754, di fatto il gruppo parlamentare più numeroso, ma anche il meglio organizzato. Per capire quest’ultimo aspetto, basta un dettaglio: prima di ogni vertice europeo, il Ppe organizzava regolarmente un vertice di partito presso l’Accademia reale di Bruxelles, invitando a parteciparvi gli uomini di governo dei vari Paesi aderenti al Ppe, allo scopo di adottare posizioni comuni sulle materie all’ordine del giorno. Una tattica che si è rivelata decisiva in moltissime circostanze per avallare all’unanimità i diktat di Berlino.
GLI SCONTENTI
Che tutto ciò sia stato un bene o un male per l’Europa, spetta ora a 388 milioni di elettori europei giudicarlo. I sondaggi dicono che gli scontenti sono numerosi, circa il 30 per cento, delusi da una politica che ha salvato le banche, ma ha prodotto 26 milioni di disoccupati. E’ probabile che lo scontento, sommato al boom degli euro-scettici, provochi una forte diminuzione del numero degli europarlamentari del Ppe, che potrebbero scendere – stando ai sondaggi – da 265 a poco più di 200. Allo stesso livello è previsto che si piazzino i Socialisti&Democratici, il che potrebbe imporre una grande coalizione europea tra Ppe e S&D per formare la nuova Commissione. Tutto sarà più chiaro a partire dal 27 maggio, tra una settimana, quando si riunirà il Consiglio dei capi di Stato e di governo per prendere atto del risultato delle elezioni per il Parlamento europeo e scegliere il nuovo presidente della Commissione Ue.
LA CAMPAGNA ELETTORALE IN ITALIA
In Italia nessuno dei temi europei è mai entrato nella campagna elettorale. Giustamente, ieri il direttore di Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi, ha ricordato che l’80 per cento delle leggi nazionali è da anni un travaso delle direttive europee, ma nessun leader politico italiano ne ha mai parlato. La confusione sotto il cielo è grande. Bastava leggere sulla Repubblica di ieri la lettera con cui il socialista tedesco Martin Schulz, candidato guidare la Commissione Ue, nel ringraziare Eugenio Scalfari per l’endorsement elettorale, sostiene che «l’Europa, nel mezzo della crisi, ha risposto aggrappandosi alle regole, senza una vera leadership politica». Come se la Merkel, artefice della politica di austerità, non fosse mai esistita: ennesima prova che tra tedeschi non ci si divide sulle cose che contano. E nella pagina accanto, Timothy Garton Ash, storico e columnist inglese, al termine di un’invettiva contro i populisti, concludeva con quattro parole che a suo avviso dovrebbero fare da filo conduttore della politica futura in Europa: «Fare appello alla Germania». Insomma, votare per non cambiare niente. Il che è inaccettabile: ci vuole una sveglia!