Con l’aiuto di uno studio condotto da un giovane universitario bolognese Andrea Piazza facciamo il punto sulla presenza femminile nell’Europarlamento (e sulle controversie tutte italiane ), a 48 ore dal voto e a bocce ferme. Come stanno le cose oggi nel bel Paese e negli altri 26 Paesi e lunedì 26 pv come potranno essere?
Nel Febbraio 2013 in Italia sono state elette deputate 198 donne, pari al 31,4% degli onorevoli, fra cui la futura presidentessa Laura Boldrini. Si tratta di un record storico per la nostra Camera dei Deputati, che ha così superato le analoghe assemblee di Portogallo, Francia e Regno Unito. Nei Parlamenti nazionali Nord Europa e Spagna sono in testa, chiudono i paesi dell’Est Europa, Balcani e Isole Britanniche. Infatti nei paesi scandinavi la percentuale di elette raggiunge il 41,2%, a fronte di un 19,8% per i paesi dell’Est Europa, la categoria di paesi che meno brillano per parità di genere.
Vero è che Irlanda (15,7%), Regno Unito (22,6%) e Francia (26,2%) ottengono una percentuale inferiore a un terzo. Una possibile motivazione sta nel sistema elettorale.
I sistemi maggioritari prevedono una competizione faccia a faccia fra i candidati per rappresentare il proprio collegio e questo tende a penalizzare le presenze femminili, che i partiti possono avvertire come meno competitive (sia con il turno unico come in UK ,sia con il doppio turno in Francia). Anche sistemi proporzionali con un forte impatto delle preferenze possono diminuire la percentuale di donne (è il caso del voto singolo trasferibile in Irlanda).
Al contrario, risulta più semplice avere una percentuale più alta di donne nei sistemi proporzionali a liste bloccate, che permettono di inserire le candidate direttamente in lista tramite un meccanismo di alternanza.
E’ ovvio che la presenza di candidate donne in lista è spesso affidata alle scelte dei partiti politici. Infatti nella maggioranza dei paesi europei non esistono quote imposte per legge, ma sono presenti regole interne ai partiti per assicurare una più o meno ampia rappresentanza al sesso femminile (a questa categoria appartiene anche l’Italia, visto l’impatto del gruppo parlamentare PD sull’attuale Camera). Pionieri in questo senso sono stati i partiti socialdemocratici svedesi e tedeschi. Dove invece esistono quote o criteri minimi per le candidature i risultati sono diversi: positivi (Portogallo, Spagna, Belgio) o insoddisfacenti (Irlanda, Polonia, Francia, Slovenia, Croazia, Grecia).
I partiti preferiscono essere multati e sforare le quote di genere piuttosto che attenersi ai criteri della legge (il caso francese è il più eclatante). Viceversa, le quote obbligatorie hanno più successo quando le liste possono essere rigettate dai tribunali nel caso in cui non sia rispettato il vincolo di parità di genere. A questa categoria appartengono i casi portoghese, spagnolo e belga, che prevedono liste bloccate alternate uomo-donna o con massimo due candidati dello stesso genere.
Attenzione: nei i paesi europei che assicurano una maggiore presenza alle elette (Danimarca e Finlandia) non è presente né un meccanismo interno ai partiti né tantomeno una quota stabilita dalla legislazione elettorale. Tenendo conto del trend delle ultime elezioni cerchiamo di capire se vi è stato incremento o diminuzione e notiamo che : la presenza femminile aumenta nella fascia media (25-35%.)
Infatti quando analizziamo la variazione nella composizione degli attuali parlamenti e di quelli del periodo ’05-’09 (quindi mediamente una legislatura fa), notiamo un dato interessante: Slovenia, Italia, Francia e Lettonia sono i paesi che hanno visto la percentuale di donne elette aumentare di più. Al contrario, paesi che da lunga data portano più candidate in parlamento hanno avuto una leggera diminuzione (Finlandia, Paesi Bassi, Svezia, Islanda). Per i parlamenti nazionali sembra quindi che la percentuale massima sia intorno al 40-44%, con alcune variazioni legate alla composizione delle assemblee (tendenzialmente maggioranze di sinistra eleggono più donne in parlamento).
La situazione è interessante per quanto riguarda il Parlamento Europeo e per le delegazioni nazionali a Strasburgo.Infatti i Paesi nordici sono in testa, con eccezioni positive in Estonia, Croazia e Bulgaria. Infatti a fronte di una media complessiva del 35,4% di elette, i paesi del Nord Europa si confermano leader per presenza femminile, mentre in Est Europa il valore medio si alza drasticamente (34,4%), segnando una forte discontinuità con i parlamenti nazionali grazie ai risultati di Bulgaria e Estonia. Interessante anche il dato della Croazia (50%), l’ultimo paese ad essere entrato nell’UE.
Chi segna il passo è invece l’Italia, che con il 22,2% si trova al quartultimo posto, risultato forse dettato dalla presenza di circoscrizioni grandi (molti candidati) con voto di preferenza. Rimanendo a livello europeo, l’European Institute for Gender Equality, un’agenzia dell’UE che promuove la sensibilizzazione verso la parità di genere, realizza ogni anno un indice sull’uguaglianza di genere. Fra le voci vi è quella sul potere politico, calcolata tenendo conto della percentuale di donne negli esecutivi, di elette nel parlamento nazionale e nei consigli regionali.
Questo indice divide più chiaramente l’Europa in due parti. Infatti per quanto riguarda il potere politico: peggio dell’Italia solo Irlanda, Cripro, Ungheria e Romania.Da una parte abbiamo l’Europa settentrionale ed occidentale, con valori tendenzialmente sopra a 50. Una eccezione: l’Irlanda, che presenta basse percentuali di elette. Dall’altra abbiamo l’Europa meridionale e orientale, con valori più bassi. Un’altra eccezione: la Spagna, che presenta un livello pari a quello dei paesi scandinavi (frutto delle riforme introdotte dal governo Zapatero).
Riassumendo velocemente dal confronto con le altre realtà europee, per l’Italia emerge che la nostra Camera dei Deputati è sopra la media per presenze femminili, ma media UE più alta per Euro Parlamento e Potere Politico. Quindi, a livello di puri numeri, la bassa presenza di elette in chiave comparata a livello regionale (circa 14%) e a livello europeo rappresenta per l’Italia la vera sfida dei prossimi anni. A maggior ragione sarà interessante vedere la composizione del prossimo Parlamento Europeo che sarà eletto tra tre giorni per capire se questa tendenza sarà in parte smentita.