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Popolari e socialisti, così uguali eppure così diversi

Popolari e socialisti dopo essersi sfidati si apprestano a dividersi come sempre il governo dell’Europa. Intanto crescono sotto le varie forme, più o meno strutturate, i movimenti alternativi e urlatori.

Sto provando a riflettere sul senso di quello che sta accadendo, e vorrei chiarire che non lo faccio in maniera ostile. Né tantomeno pregiudiziale. Tento di capire cosa succede, dove stiamo andando ed eventualmente cosa si possa fare per rendere un po’ migliori cammino e meta.

Ho le mie idee, ma non ho risposte chiuse, solo intuizioni e forse analisi che mi dicono che domani sarà molto diverso da ieri. Aspetto con interesse controdeduzioni e ulteriori riflessioni. Credo inoltre che i mutamenti in atto non siano necessariamente un bene o un male, ma sono in atto, e dalla realtà bisogna partire per affrontare qualsiasi scelta.

Dunque, ero rimasto a una domanda che credo importante, anzi due. Cosa distingue in Europa popolari e socialisti? E cosa chiedono gli elettori?

Alla prima domanda la risposta è facile e difficile allo stesso tempo. Perché le differenze reali e sostanziali sono davvero poche. E davvero molto sottili appaiono agli elettori. Un tempo i popolari difendevano la bandiera dei valori, del libero mercato, del conservatorismo, delle culture nazionali. I socialisti invece si schieravano con gli operai, e col tempo hanno sviluppato una linea progressista e un impegno sui cosiddetti diritti civili.

Ma non dimentichiamo che una divisione storica originaria era in qualche modo legata alla Guerra Fredda, con i popolari nettamente filo-atlantici e anti-sovietici, e i socialisti molto più dialoganti con Mosca e il comunismo internazionale, anche se in diversi Paesi d’Europa la distinzione tra socialisti e comunisti era netta.

Oggi la Guerra Fredda è finita da un bel pezzo, e quella linea di divisione è crollata. Ma ci è voluto un bel po’ per metabolizzarla, se pure il processo si possa dire compiuto del tutto (in Italia Berlusconi ancora grida ai comunisti, che però in effetti hanno giocato un ruolo molto a lungo lasciando strascichi).

Ma c’è di più, o almeno a me così pare. Le differenze di contenuti si sono affievolite. Prima strutturalmente, all’interno dei partiti. Poi definitivamente di fronte alla crisi. Le ricette politiche di Ppe e Pse non differiscono più di tanto: le polemiche sull’austerità sono una facciata, i governi di centrodestra e centrosinistra e i gruppi politici hanno condiviso prima una necessaria stretta sui debiti e ora un auspicato rilancio della crescita. Sempre più si ha l’impressione che in fondo i due schieramenti ritengano che le cose da fare siano quelle, e non ci sia spazio per alternative. L’agio della contrapposizione politica non esiste, soprattutto per chi si considera responsabile; e forse non esiste proprio lo spazio per una vera azione politica identitaria. Non a caso ne sono derivati le grandi coalizioni e i ruoli sempre più rilevanti dei tecnici e dei burocrati. In Europa e nei singoli Paesi.

Non bastasse questo, tra i due blocchi sono andate affievolendosi le rivendicazioni identitarie. Progressivamente si è sempre più creato un pensiero unico omogeneizzato, indistinto, debole. Il trionfo del politicamente corretto. Valori più labili da una parte e dall’altra, identità culturali flebili, visioni economiche e sociali indistinguibili.

Da come ne parlo si capisce che non mi piaccia troppo, ma potrebbe anche non essere un male. Nel migliore dei casi regna il pragmatismo, l’obiettivo di affrontare le cose senza ideologia, con efficienza. Ma il vuoto viene riempito, e se la mia analisi è corretta, si spiega il calo fisiologico di consensi ai due blocchi principali (approfitto qui per citare anche i liberali e per dire che i verdi a mio avviso sono a cavallo tra le realtà tradizionali e quelle comunque “nuove”). E tanto più si spiega la crescita di movimenti alternativi di destra, di sinistra, di protesta.

Cosa vuole l’elettore? Che siano difesi i suoi interessi. In questo senso non va sottovalutato il ruolo di popolari, socialisti e liberali: insieme raccolgono ancora più della metà della rappresentanza, che è davvero molto se inteso come un unico blocco sostanzialmente se non omogeneo almeno armonico. Ma l’altra metà degli elettori evidentemente dissente dalla visione politica dominante, chiede qualcosa di diverso, cerca una diversa rappresentanza.

Tutto ciò che non è ricompreso nell’orizzonte popolar-socialista cerca casa altrove. Valori (e disvalori) forti, identità marcate, soluzioni radicali, visioni alternative della società cercano spazio, voce, rappresentanza. Gli elettori, i cittadini, chiedono una visione della società e soprattutto chiedono soluzioni ai problemi che li affliggono: occupazione, welfare, fisco.

Da una parte ci sono le soluzioni tradizionali, istituzionali, razionali, dall’altra l’offerta più diretta, immediata, semplice. Le prime vincono se funzionano, se risultano efficaci ed efficienti. Altrimenti vincono le seconde, che scaldano di più il cuore.



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