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Omaggio a Marco de Bartoli, raggi di sole in bottiglia.

Pantelleria. Un pomeriggio caldissimo. Il vento batteva l’isola che, appunto, i Fenici chiamavano Cossiria. Come le piante di capperi e i vitigni di zibibbo, te ne stavi accovacciato in qualche alcova per ridurre la superficie esposta al vento. E quella calura, che fuori aveva da far maturare gli acini e asciugare il cappero, ti sprigionava tutto l’istinto dell’uomo.
Solo quando il sole iniziò a smorzare il suo alito creatore, mi avviai fuori dal dammuso. Mi trovavo nel cuore di contrada Bukkuram. Di fronte, un casolare. La cantina di Marco De Bartoli.
Fui accolto dal figlio Renato che mi dischiuse, come aprendo un fazzoletto di quelli che gli uomini non portano più, quelli che si potevano offrire solo a bellissime donne, una storia e una vita. Quella dei De Bartoli appunto. Vignaioli di Marsa’ Alam e di Pantelleria. I Re del Marsala.

Qualche giorno fa conversando con il mio amico Carlo ho scoperto che Marco de Bartoli non c’è più. Se n’è volato via 3 anni fa. Non riesco ancora a spiegarmi come possa essermi sfuggita la notizia allora. E peggio non riesco proprio a pensarne l’assenza. Proprio non riesco ad associare l’immagine di un uomo di quella tempra, che aveva dentro tutto il sole di Sicilia, in un freddo tambuto. Per alcuni anni ho avuto l’occasione di incontrarlo una volta all’anno. In occasione degli ordinativi che facevo, per me e per un gruppo di amici, dei suoi grandissimi vini. Il Pietra Nera su tutti.
Il miglior aneddoto che posso raccontare, e che mi onoro di condividere con Marco De Bartoli, è questo. In uno dei suoi viaggi dal Sud al Nord Italia, che effettuava nei mesi invernali per consolidare i rapporti con la sua affezionata clientela, mi chiamò al telefono: – Ingegnere unn’è? Io domani sono a Torino. Ci possiamo vedere? – E io a lui: – Guardi in questo momento sono con la febbre a 40 in un albergo in un paesino vicino Modena; spero anch’io di vederla domani. Vorrebbe dire che sto meglio – . Al che lui : – Ingegnere lei è come a mia. Io sto guidando verso Milano e ho la febbre a 38. Ingegnere a noi non ci ferma nessuno -.
Ecco. La sera, dopo 3 giorni di febbre che pareva non voler andar via, sudai come fossi sull’alcova di Pantelleria, e l’indomani riuscì a non mancare l’appuntamento con Marco. Bevemmo due biancosarti in due bicchieri colmi fino all’orlo. Con lui che aveva, era Febbraio, giusto una camicia e un giubbottino leggero di quelli da mezzo tempo. Ma vederlo quando sul volto gli si allungava il sorriso, i suoi denti bianchissimi, che spuntavano in un volto che era sempre abbronzato, parevano un muro a secco di Sicilia. Aveva una solarità immensa, la stessa che sapeva racchiudere dentro alle sue botti.
Marco de Bartoli è stato un grande siciliano. Siciliano, vignaiolo, pilota di rally, imprenditore, icona di una Sicilia splendida, produttiva e, talvolta, disgraziata. Icona di un modello di sviluppo che passa attraverso la valorizzazione della tradizione. Sperimentazione e continuo affinamento. Innovazione e qualità. Dalla botte vecchia alla botte giovane. Di generazione in generazione. Sviluppo e modernizzazione.
Marco De Bartoli nasce nel 45’ a Marsala. La famiglie dei genitori hanno una profonda tradizione vitivinicola. La mamma, più ancora del padre, dispone di imponenti masse vinose. E’ un privilegiato. Vive in una famiglia molto moderna per la Sicilia dell’epoca. La mamma è una delle prime donne a guidare l’automobile. Segno di agiatezza e di emancipazione.
“Talia ‘na fimmina chi porta a machina”
Marco non è il figlio, di una famiglia benestante, indolente e distratto. Studia, si laurea in agraria, coltiva le sua passioni. Le corse. Nel ‘72 vince la targa Florio. E’ un corridore, in pista e nella vita. Tenace, deciso e dall’indole ribelle non si ferma di fronte alle sfide che la vita gli presenta. Corre le sue gare ma, in fondo, sa che il suo destino è tra i rettilinei dei filari. Inizia ad occuparsi delle attività di famiglia. Lavora sia per l’azienda del padre che per quella della madre. E’ propositivo. Forse troppo. Le sue idee nuove non vengono sempre accolte. E’ imprenditore e coglie l’opportunità. La sua è una sfida con sé stesso e con la tradizione che il suo nome si porta con sé. Sa di poggiare le sue gambe sulle spalle di chi lo ha preceduto. Sa di dover fare di più. Deve guardare più lontano. I piedi nel mosto della botte vecchia, le mani grommate del mosto nella botte nuova. Assaggia, anticipa, ritarda, invecchia, affina. Come un grillo tra i filari da acino ad acino. Cicala sotto il sole, ne assorbe l’energia come la sua uva. Sembra sperimentare su di sé la maturazione dell’acino. Strofina la mano sulla pancia della botte come il futuro padre la mano sulla pancia della moglie gravida. Restituisce al Marsala il ruolo che gli compete. Il suo Vecchio Samperi è noto ed apprezzato in tutto il mondo. Il Marsala, finito ad innaffiare scaloppine e dolci, torna ad essere un vino di prestigio come il porto, il cognac.
Lavora dal punto di vista enologico cercando di restaurare ed affinare i propri vini. La terra, la Sicilia, offre un terroir, un clima che sono ideali per sviluppare prodotti enologici senza rivali. Occorre imbrigliare l’energia della chimica, della natura all’interno di procedimenti in cui la tradizione deve sposarsi con l’innovazione. Le spider parcheggiate all’interno del baglio Marsalese, la coppia di cirniechi dell’Etna a guardia della tenuta.
E’ innovatore ma anche un grande comunicatore. E’ uomo di marketing. Capisce che il problema dei vini siciliani è anche un problema di immagine. Vittime di se stessi, dei mali dell’isola, ma anche dei cartelli dei vignaioli Piemontesi e Toscani. Nulla nei prodotti de Bartoli viene lasciato al caso. Il packaging, ad esempio. Le bottiglie sono di una forma raffinata ed elegante. Declinano un certo vissuto. Contengono nettare di Bacco e racchiudono il riverbero del sole sui muri a secco di Agosto. Prendete il Bukkuram, l’altro grande capolavoro di Marco. Il vino moscato di Pantelleria. La bottiglia dalla forma particolarissima, riporta un’etichetta anch’essa molto ricercata. Spicca la denominazione “Bukkuram”. Il carattere è arabeggiante. Il colore verde. Il verde dell’acino di zibibbo.
Provate se ci riuscite. Chiudete gli occhi e immaginate di essere a Punta Nikà, a Pantelleria. E’ il tramonto. Il vento soffia incessante e vi isola da tutto il resto. La pietra vulcanica rilascia il calore accumulato durante il giorno. Siede seduti su una roccia. Accanto a voi piante di fichi d’india. In mano un acino di zibibbo. Ci guardate dentro. Vi vedete i Fenici, gli Arabi, i Siciliani. Huntington, quello dello scontro di civiltà, sarà pure esperto di geopolitica ma non capisce nulla di vini. Aprite pure gli occhi. Ed ancora il Pietra Nera di Pantelleria, appunto. Un altro capolavoro: vino di uva zibibbo vinificato secco.
Esempio di una Sicilia fattiva, Marco de Bartoli dovette fare i conti proprio con la Sicilia, con questa Italia. Con l’accusa, la più infamante, per un produttore di vini, e di vini di qualità in particolare. Quella di sofisticazione. Proprio quella sofisticazione che spesso si annida nella burocrazia e nella giustizia, non sempre giusta, di questa Italia e di questa Sicilia. Il rammarico più grande forse fu proprio non riuscire a vedere in faccia coloro che l’avevano infamato il giorno in cui fu prosciolto da ogni accusa.

Salute a te, dunque, Marco.

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