Il decreto legge n. 66 in fase di conversione firmato lo scorso 24 aprile dal Presidente Napolitano contiene importanti misure per il rilancio dell’economia e la riduzione degli sprechi nella Pubblica Amministrazione. L’intervento più rilevante è, come noto, il bonus di 80 euro mensili a favore dei lavoratori dipendenti che percepiscono un reddito annuo inferiore a 24.000 euro; oltre tale importo il bonus decresce linearmente fino ad annullarsi al raggiungimento della soglia di 26.000 euro. Si tratta di una misura molto attesa non solo per la sua valenza redistributiva, ma anche per la platea dei soggetti beneficiari, quasi 10 milioni di lavoratori. Le altre misure più importanti contenute nel decreto sono la riduzione del 10% dell’acconto Irap a carico delle imprese e l’esclusione dal Patto di stabilità interno delle spese destinate all’edilizia scolastica. Al netto degli emendamenti in corso di definizione, l’onere complessivo della manovra è di 7,6 miliardi, coperto in parte con minori spese, in parte con maggiori entrate.
L’obiettivo dichiarato è la “competitività delle imprese e la giustizia sociale”. In concreto attraverso la riduzione degli sprechi della PA, l’incremento della capacità di spesa dei lavoratori dipendenti e l’alleggerimento della pressione fiscale per le imprese, il provvedimento mira a sostenere la ripresa economica nell’immediato, in attesa di più incisive misure strutturali. In altri termini da un lato punta ad una riduzione degli sprechi per migliorare l’efficienza nella PA, dall’altro accresce il reddito disponibile dei lavoratori per stimolare i consumi delle famiglie e, di conseguenza, il prodotto interno lordo.
Tuttavia, se è vero che l’inefficienza della spesa pubblica è uno dei fattori che ostacola la crescita, è altrettanto vero che una sua riduzione, almeno nel breve periodo, potrebbe portare a una contrazione del prodotto interno lordo. Questo non solo perché la spesa pubblica contribuisce alla formazione del PIL, ma anche per i suoi effetti indotti. Nel lungo periodo, viceversa, una spesa pubblica più efficiente consente di erogare servizi di migliore qualità, favorendo gli investimenti e la crescita.
Per stimare gli effetti delle politiche è necessario valutare le misure proposte. Ad esempio, nel citato decreto 66, l’incremento del reddito disponibile dei lavoratori dipendenti potrebbe generare un impatto positivo, mentre, la riduzione della spesa per consumi intermedi della PA potrebbe avere un effetto di segno opposto. A parità di manovra, maggiore sarà il grado di integrazione dei settori interessati dagli interventi, più elevato sarà l’impatto complessivo del provvedimento in termini di crescita, sia in senso espansivo che recessivo. Valutazioni basate solo sul senso comune potrebbero condurre a conclusioni errate.
Nel nostro Paese diverse Istituzioni già possiedono le expertise necessarie per produrre analisi accurate. Ad esse a breve si aggiungerà l’istituendo Ufficio Parlamentare di Bilancio, una sorta di authority voluta dal fiscal compact per vigilare sul rispetto degli obiettivi di bilancio.
L’auspicio è che questi soggetti, nel rispetto dei loro diversi ruoli, possano operare in modo coordinato al fine di valutare non solo la sostenibilità finanziaria dei provvedimenti, ma anche i loro effetti in termini occupazionali, redistributivi e di crescita. Una valutazione più completa potrebbe migliorare la qualità delle politiche pubbliche grazie a un dibattito più costruttivo e consapevole.
In un contesto nel quale la spending review è entrata nella delicata fase attuativa, l’esigenza di supportare le decisioni pubbliche in modo rigoroso sembra essere quanto mai prioritaria. A chiederlo questa volta non è l’Europa ma la sostenibilità del nostro benessere futuro.
Guido Nannariello (@GNannariello)
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