Skip to main content

Perché le nozze Alitalia-Etihad sono una vittoria per l’Italia

Senza conoscere il piano industriale legato all’ingresso della compagnia aerea emiratina Etihad nella società che controlla Alitalia –  come non lo conosce la quasi totalità di politici, sindacalisti e giornalisti che in queste ore straparlano e strascrivono – non si possono azzardare commenti dettagliati sull’operazione e sulle sue conseguenze economiche e sociali. Ma rimane l’importante significato politico. E, sotto questo aspetto, si tratta di un’operazione ottima, che si pone nel solco di un recupero di attrattività del “marchio Italia” – tipo Ansaldo Energia, per intendersi – legata all’offerta di ricadute industriali a medio-lungo periodo e non di risvolti finanziari a breve termine.

Ma chi sono stati i protagonisti di questa vicenda? Il principale è senz’altro Khalifa bin Zayed al Nahayan, potente emiro, descritto come un padrone assoluto, di Abu Dhabi. Ma con un co-protagonista del calibro di James Hogan. Perché, infatti, alla fine l’ha avuta vinta l’emiro, ma alle condizioni del ceo Hogan. E nonostante l’amicizia, e soprattutto la stima, per Giovanni Bisignani da parte di questo ruvido “aussie”.

Hogan ha trasformato la più piccola compagnia del Golfo Persico, Etihad appunto, in un protagonista del mercato mondiale e in uno dei più attivi soggetti nel risiko aereo partito allo scoppio della crisi nel 2007. E potrebbe trasformare Alitalia, la maggiore compagnia (compresa quella emiratina) per passeggeri trasportati e per giro d’affari nel network Etihad in via di realizzazione, nella punta di diamante di questa conglomerata che ha il cuore (e il portafoglio) sulle sponde del Golfo Persico ma sembra destinata ad avere tutto il resto, a cominciare dallo stile e dalla esperienza, in Europa.

Bisignani, che di Hogan gode dell’ammirazione professionale e umana, è il più ascoltato e amato italiano ai vertici dell’industria del trasporto aereo. Anzi, tout court, il più ascoltato e amato “pilota” del trasporto aereo nel mondo. E’ lui l’uomo che, tra il 2001 e il 2002, quando globalmente il sistema delle compagnie stava dichiarando bancarotta, lo ha salvato dal crac. Questo aspetto chiarisce il quadro delle trattativa Alitalia-Etihad. Una trattativa che, se non ci fosse stato “Giovanni”, come lo chiamavano “no frills” negli oltre dieci anni di guida della Iata, l’associazione delle compagnie aeree tradizionali, potrebbe anche avere avuto una svolta diversa.

Un giorno andrà chiarito nei dettagli anche come questa trattativa sia nata, avviata e condotta a conclusione dopo oltre un anno e mezzo di studi, incontri, scambi di convenevoli, di scartafacci e di annusamenti. Ricordando che a valle il risultato positivo è stato senz’altro merito degli attuali negoziatori ma a monte va ascritto anche (il “quanto” è complicato da valutare) all’operato complessivo e soprattutto alle iniziative commerciali e di marketing avviate nell’autunno 2012 da Enrico Ragnetti. Forse Ragnetti non era l’amministratore delegato perfetto per una compagnia aerea, ma sicuramente è stato l’uomo della svolta per Alitalia, sia pure, piuttosto incomprensibilmente, messo all’improvviso da parte. La sua azione, un giorno, meriterà un approfondimento. Come non sarà ozioso studiare gli errori e gli orrori (archiviati senza colpevoli, nemmeno politici) dei governi di centro-sinistra nella seconda metà degli anni novanta (dal fallito acquisto di Klm alla creazione del dualismo Malpensa-Fiumicino) che condussero alle dimissioni di Domenico Cempella, l’ultimo ad di Alitalia ad aver chiuso bilanci in utile. Sarà opportuno, inoltre, riconsiderare gli esatti termini della mancata acquisizione di Alitalia da parte di Air France nel 2008 e domandarsi perché circoli politici e giornalistici si ostinino a considerarla, talvolta anche mescolando le carte, un affare sfumato, prendendo per oro colato la versione dei francesi.

L’emiro di Abu Dhabi, assicurano a chi scrive “uomini che sussurrano agli emiri”, sarebbe entrato in Alitalia anche a condizioni meno favorevoli. Per lui Alitalia rappresenterebbe una specie di obiettivo politico e sentimentale. Ma Hogan ha posto dei paletti. Senza entrare nei particolari di chi, sul fronte italiano, avrebbe guadagnato nella prima ipotesi e perderà nella seconda, bisogna ammettere che, probabilmente, il metodo Hogan garantirà ad Alitalia e al sistema che gravita intorno alla ex compagnia di bandiera un futuro più solido in termini economici e sociali. Forse addirittura politici.

Si vedrà. Per ora, benvenuta in Italia, Etihad.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter