Con la prima ondata di riforme per il decentramento, già nel 1981 François Mitterrand disse che se “la Francia ha avuto bisogno di un potere forte e centralizzato per costituirsi oggi ha bisogno di un potere decentrato per non disfarsi“. Nei trent’anni che sono trascorsi, quasi tutti i governi hanno messo mano a nuove riforme: con più forte decentramento, ma anche nel tentativo di contenerne i costi.
NON SOLO EFFICIENZA
Il governo di Manuel Valls deve rispondere al cattivo rapporto deficit-PIL del 3,8% con riforme strutturali, tra cui quelle del sistema pubblico. La proposta di raccomandazione della Commissione europea indica la necessità di rientrare in fretta nei ranghi, e Valls ha annunciato nel programma di stabilità un piano di riduzione a regime della spesa di 50 miliardi, di cui 11 miliardi dalle collettività locali. L’annuncio ai primi di aprile aveva scatenato un dibattito subito molto acceso, anche all’interno del Partito socialista.
VALLS CI RIPROVA
Il suo capo, il presidente François Hollande, aveva già abbandonato la riforma di Sarkozy, che pure prevedeva una riduzione del personale politico. Tentativi di semplificazione del “millefoglie territoriale” durano infatti da anni, e i più recenti lasciavano ai territori il compito di procedere. In Alsazia sembrava naturale riunire in unica struttura politica e amministrativa la Regione e i due Dipartimenti del nord e del sud, ma nella proposta finale elaborata dal ceto politico locale si salvarono non solo le vecchie assemblee dei dipartimenti ma anche nuove assemblee di “prossimità”. Al referendum del 7 aprile 2013 parve a tutti che la soluzione non era stata trovata e i cittadini votarono contro, mettendo così una pietra tombale sul metodo partecipativo. L’iniziativa di riforma passava quindi all’amministrazione centrale.
UN REGIONALISMO SEMPLIFICATO
Dopo l’annuncio al parlamento in aprile, gli incontri con le forze politiche e vari presidenti di regione, il 3 giugno, con un intervento pubblicato sui quotidiani regionali, Hollande ha reso noto il contorno dell’iniziativa che Valls presenterà con due progetti di legge il 18 giugno prossimo. Le regioni diventano più grandi, passano da 20 a 14, acquisiscono più poteri, nei trasporti, infrastrutture e scuola e per lo sviluppo economico. I 100 dipartimenti (di cui cinque d’oltremare) saranno eliminati in modo progressivo entro il 2020 e i loro poteri verranno delegati alle Regioni, e verso il basso, cioè ad un livello di gestione intercomunale, più che ai comuni stessi. Il presidente Hollande evoca una dimensione ottimale delle Regioni, e pensa alla Germania, che conta sedici Laender su una popolazione di ottanta milioni di abitanti. Come per l’Italia, punta a eliminare un livello di governo territoriale, ma il paragone tra provincia italiana e dipartimento francese – nato con Napoleone – è difficile, per il suo radicamento nel sentire dell’opinione pubblica e perché la dimensione del dipartimento rimarrà intatta per i servizi decentrati e prefettizi dello Stato. Dopo anni di tentativi falliti di fusione, il problema dei comuni rimane infine incardinato nella gestione associata dei servizi, che dal 2010 è ricondotta negli EPCI “Enti pubblici di cooperazione intercomunale”, a fiscalità propria e in molti casi con assemblea eletta direttamente dai cittadini. La riforma punta a rafforzarli con limite minimo di 20 mila abitanti rispetto a quello attuale di 5 mila: è il cosiddetto ambito di vita (bassin de vie) in cui si dispiegano le attività economiche e sociali dei singoli cittadini.
LE REAZIONI
Le reazioni sono evidentemente forti, e vanno dalle accuse del centro e di François Bayrou di sommarietà e astrattismo, a discussioni sulle identità territoriali in parte destinate a riunirsi ma anche ad affermarsi, come nel caso bretone, alla rumorosa opposizione di Marine Le Pen sulla “deriva federalista”. Dopo l’esame dei progetti di legge alla riunione dell’esecutivo del 18 giugno, il 4 luglio dovrà iniziare il dibattito in parlamento.