Più che un reportage utile per comprendere un fenomeno criminale, Gomorra è diventato col tempo un vero e proprio brand, un marchio che qualifica un’intera visione del mondo passando dal reportage romanzato di Saviano all’acclamato film di Matteo Garrone, che ne accentua gli elementi rappresentativi, fino alla sua ultima manifestazione: la serie Tv omonima che ha esordito il 6 maggio su Sky Atlantic.
GOMORRA. LA SERIE
La serie, con Stefano Sollima come co-regista e showrunner, consente l’immersione del materiale narrativo nella quotidianità. Non si tratta solo di illustrare la “banalità del Male”, ma di un modo di scrittura che, senza rinunciare ai picchi narrativi, evolve lentamente, mettendo in scena prima di tutto un’atmosfera, poi i personaggi e infine le loro interazioni nello sviluppo della fabula.
IL REALISMO
Come per il film di Garrone, si è parlato a sproposito del “realismo” come qualità principale della serie che ritrarrebbe alla perfezione le dinamiche familistiche amorali e criminali interne ai clan. Realismo è un termine ombrello che mai come ora suona ambiguo perché sintetizza un caos inesorabile quale è il contemporaneo. Nella serie fino ad adesso sembra che si privilegi invece un approccio fortemente stilizzato, in cui gli spazi di Scampia o Secondigliano sono cupi e labirintici quasi in modo espressionistico.
IL PREGIO DELLA SERIE
La notevole qualità visiva di Gomorra costruisce semmai uno spazio iconico e rappresentato più che rigorosamente realistico. Inoltre la narrazione delle dinamiche interne al clan, pur centrandosi su elementi antropologici come il rapporto con la religione e la famiglia, si stacca dalla cronaca per alludere alla tragedia o a modelli come la sceneggiata, la serie americana o il mafia-movie di culto, da Il padrino a Scarface.
Tutto questo non è un difetto, ma un pregio perché suggerisce che la città immaginaria, Gomorra, è un regno maligno che gli stessi camorristi vogliono rappresentare e architettare in questa maniera. La Napoli oscura di Sollima è il prodotto antropologico di una precisa volontà “culturale”. In questo modo si sovrappongono gli spazi grotteschi della villa del boss Savastano ai non luoghi delle periferie napoletane.
LA LEZIONE DELLO SPETTACOLO D’AUTORE
Finalmente la televisione italiana, adattandosi ai modelli produttivi dei serial d’oltreoceano, va recuperando la lezione del grande spettacolo d’autore che nel nostro cinema ultimamente è stata incarnata da registi come Garrone e Sorrentino. In questo caso la spettacolarizzazione del reale attraverso l’uso dei codici di genere non è più un fenomeno negativo in relazione all’autorialità, ma va letto come cosciente operazione culturale che dai codici, il genere con le sue strutture e i suoi archetipi, si trasferisce lentamente su un piano che può essere “realistico” ma anche mentale, psicologico, spaziando nell’immaginario.
Gomorra dimostra non solo quanto contino i modelli produttivi nell’esaltare la qualità artistica, ma anche come l’autorialità non consista più in una rivendicazione individuale della critica che l’autore fa alle forme condivise. Essa è ormai un lento procedimento di microanalisi e decostruzione dei nostri parametri culturali e di come essi possano essere applicati alla realtà che conosciamo.
Articolo pubblicato sul numero di Formiche di giugno
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