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Da dove arrivano i soldi per il decreto Guidi?

ll decreto competitività per “mettere la ripresa su un sentiero solido e duraturo”è il piano del ministro Federica Guidi che assicura: “Darà una spinta all’economia, alcune misure daranno un impatto immediato ma anche strutturale: ci sarà un’accelerazione delle crescita nei prossimi trimestri e l’innalzamento del livello di crescita potenziale”.

Il pacchetto, varato dal consiglio dei Ministri, prevede incentivi per la riduzione delle bollette elettriche alle imprese, una misura che vale in prima battuta 800 milioni di euro. A regime il valore totale dello sconto destinato alle piccole e medie imprese sarà di 1,5 miliardi di euro. Il decreto legge contiene provvedimenti come gli interventi di efficientamento nelle isole minori, la rimodulazione degli anacronistici sconti per la rete ferroviaria, la semplificazione amministrativa per i piccoli produttori di rinnovabili, la contestata rimodulazione degli incentivi per il fotovoltaico sopra i 200 Kw e il trasferimento dei costi di funzionamento del Gse (Gestore servizi energetici) a carico di chi ne utilizza i servizi. Sul fronte dei risparmi gli interventi, per assicurare una riduzione del costo per l’energia, prevedono una sforbiciata agli incentivi e ai trasferimenti ai produttori di energia e la riduzione delle agevolazioni per alcune specifiche categorie di utilizzatori. Alla fine, come detto, il conto dovrà totalizzare 1,5 miliardi di sconti in bolletta per circa 110 mila imprese collegate in media tensione e per altre 600 mila collegate in bassa tensione con potenza impegnata maggiore di 16,5 Kw. “Serve uno choc positivo sugli investimenti e sulle agevolazioni fiscali per la crescita degli investimenti nel settore privato”, ha specificato Guidi.

Arriva la liberalizzazione del credito, con la possibilità da parte delle compagnie assicurative e delle società di cartolarizzazione di concedere credito direttamente alle aziende. Un nuovo regolamento liberalizza inoltre il credito diretto da parte dei fondi. Arrivano pure gli incentivi alle quotazioni in Borsa, con misure che prevedono, per esempio, le emissioni di azioni a voto plurimo, una diversa soglia minima per l’Opa (offerta pubblica di acquisto) delle Pmi compresa tra il 20% e il 40%, la riduzione del capitale sociale minimo da 120 a 50 mila euro per le spa e un diverso tetto degli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti. Nell’elenco degli interventi è previsto anche un credito di imposta al 15% per gli investimenti incrementali effettuati nei primi 12 mesi rispetto alla media dei cinque anni precedenti. 
La misura vale per tutte le imprese che investiranno almeno 10 mila euro in macchinari e beni strumentali.Bene la struttura ci convince abbastanza.

Ma le risorse da dove le prendiamo? La domanda sorge spontanea quando pensiamo alle risorse che comunque abbiamo perso ed esattamente 4 miliardi l’anno. È il costo delle sanzioni Ue inflitte per i ritardi dei pagamenti da parte della PA alle imprese. Solo nel 2012 le imprese ci hanno rimesso altri 2,1 miliardi di interessi sui prestiti chiesti alle banche. Interessi sui soldi in prestito, rinuncia agli investimenti, licenziamenti e anche mancate entrate fiscali per lo Stato.

Quando la Pubblica amministrazione non paga entro tempi decenti i suoi debiti verso i privati, oltre a minare alla base il rapporto di fiducia tra il cittadino e le istituzioni, innesca una serie di effetti economici negativi che valgono quanto una manovra correttiva. Difficile quantificarli esattamente, ma un’idea di cosa significhi vivere nel paese con la Pa più lenta a pagare, la danno le analisi delle associazioni di categoria sull’applicazione della direttiva europea sui pagamenti .E dunque rilanciamo la domanda : ma da dove li prendiamo i soldi per il decreto Guidi? Christine Lagarde, direttrice generale dell’Fmi, ha criticato ieri a Lussemburgo la riforma del Patto di Stabilità e il modo in cui la Commissione Ue e l’Eurogruppo lo applicano, concentrandosi troppo sul taglio dei deficit annuali dei paesi dell’Eurozona invece che puntare sull’obiettivo prioritario della riduzione del loro debito pubblico, e ha citato come esempio il caso italiano, paventando che l’obiettivo del 60% non sia raggiunto prima dei prossimi 20 anni. Ha detto “Se affrontiamo la riduzione del debito pubblico solo con la riduzione del deficit, in un paese come l’Italia il rapporto debito/Pil scenderebbe di 3 – 4 punti percentuali all’anno, e si arriverebbe al 60% solo nel 2034. La sola riduzione del deficit non è sufficiente; bisogna concentrarsi su un aumento del tasso di crescita per accelerare la diminuzione del rapporto debito/Pil e poi utilizzare la politica monetaria per combattere il protrarsi dell’inflazione debole”, ha concluso la direttrice dell’Fmi, dopo aver ricordato che i due parametri di Maastricht, il 3% del deficit/Pil e il 60% del Debito/Pil “sono stati definiti in un periodo di crescita, mentre ora molti paesi hanno un rapporto debito/Pil di gran lunga oltre il 60%”. Appunto come l’Italia. Ma da dove prendiamo i soldi?



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