Va bene, per carità di patria non disturbiamo il manovratore, visto che dal primo luglio assume a nome dell’Italia la presidenza del Consiglio Ue. Però non esageriamo neppure con i facili entusiasmi, come quelli che si avvertono, frementi e ossequiosi, per qualche parolina detta da Angela Merkel. L’elemosina dialettica della Cancelliera è stata l’apertura al “pieno utilizzo dei margini di flessibilità” già contenuti nei patti europei.
Si vedrà a breve se l’apertura riguarda lo scomputo delle spese per investimenti dal calcolo del deficit oppure tempi più elastici per il raggiungimento degli obiettivi sui rapporti deficit-pil e debito-pil. L’esperienza del passato, quando facili ottimismi venivano dispensati da altri e ultra europeisti premier italiani che si vantavano di avere rapporti solidi con Berlino, induce a qualche cautela. Anche perché di quella elasticità l’Italia si è già avvalsa chiedendo – come hanno fatto il premier Matteo Renzi e il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan – la proroga di un anno, dal 2015 al 2016, per centrare il pareggio di bilancio.
La nuova via del pragmatismo che sembra pervadere leader finora tetragoni sull’austerità come premessa della crescita è ovviamente salutare, ma non ci saranno facili sconti per nessuno. Infatti una esperta di cose europee come Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore ammonisce: “Presidenza Ue o no, l’Italia di Renzi non può illudersi di fare eccezione”.
Conclusione: meglio essere realisti che gufi o grulli.