Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, l’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza
Facciamo il tagliando di metà anno. Negli Usa, i dati del primo trimestre sono stati una doccia fredda: è andata molto peggio del previsto. Il GDP si è contratto del 2,9% su base annua e non dell’1% come stimato in precedenza. Rispetto al +0,1% delle previsioni iniziali, il collasso è stato netto. Tutto è dipeso da due eventi: l’andamento avverso dell’export, che ha segnato un saldo negativo dell’8,9% rispetto all’ultimo trimestre del 2013, quando aveva registrato un eccezionale +9,5%; il pesante destocking del sistema produttivo statunitense. L’andamento negativo dell’export ha contribuito per il -1,25%, mentre la variazione delle scorte ha pesato per il -1,7%. Da sole, queste due variazione hanno determinato il complesso della contrazione del GDP. L’andamento dell’export influisce per quasi la metà sulle variazioni, positive o negative che siano, del pil americano: già nell’ultimo trimestre del 2013, infatti, quando il GDP segnò +2,6%, il contributo positivo dell’export era stato dello 0,99% mentre la variazione delle scorte era già stata negativa dello 0,02%.
CHE SUCCEDE ALL’EXPORT AMERICANO
Sulla flessione dell’export USA ha pesato il ritardo della ripresa europea, che invece sembrava essere finalmente decollata a fine 2013, ed il gelo che pervade da ormai un anno le economie emergenti. E’ quindi cruciale l’andamento del secondo trimestre: se fosse ancora negativo per via dell’export, il processo complessivo di uscita dell’economia mondiale dalla crisi del 2008 ne risentirebbe pesantemente. Nessuno si può permettere che gli Usa entrino in una fase di stagnazione. Per il momento siamo al ridimensionamento delle previsioni di crescita, riviste per il 2014 al +2%.
CHE COSA ACCADE NEGLI USA
Il primo effetto è stato un immediato indebolimento del dollaro, che è arrivato a quota 1,3650 nei confronti dell’euro. Si è spenta così la speranza che manovra ultraespansiva decisa dalla Bce ai primi di questo mese, fissando per la prima volta nella storia un rendimento negativo dello 0,1% sui depositi ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria, liberasse risorse alla ricerca di rendimenti in dollari, più elevati di quelli che vengono corrisposti in euro. La prospettiva di un indebolimento dell’euro rispetto al dollaro, evento che avrebbe ridato forza all’export delle economie dell’Europa meridionale, si scontra già con un attivo della bilancia dei pagamenti correnti dell’Eurozona che è in costante, netta crescita: ad aprile scorso è stato pari a 18,7 miliardi di euro, con un valore accumulato nei 12 mesi di 244,5 miliardi, arrivando ad una percentuale sul pil dell’area pari al 2,5%, calcolato in ragione d’anno. Se l’Europa vende ormai strutturalmente più di quanto acquista dall’estero, è soprattutto perché ha ridotto drasticamente la propria domanda interna. La progressione dell’attivo è significativa: +12,1 miliardi nel 2011, +133,1 nel 2012, +227,7 nel 2013. In questo modo, l’Eurozona esporta deflazione ed a farne le spese sono, tra gli altri, gli Usa che invece hanno invece mantenuto stabile, se non in leggera crescita, la propria domanda sul mercato mondiale.
IL FOCUS SULL’ITALIA
Anche l’Italia, nel suo piccolo, ha raggiunto un attivo sostanziale nei conti con l’estero. Nel 2015, il surplus delle partite correnti dovrebbe arrivare all’1,6% del pil. Si accumulano però risorse in valuta estera che non vengono immediatamente reimpiegate nell’economia reale ed infatti lo scarto tra l’andamento dei mercati finanziari e quello dell’economia reale si è fatto sempre più vistoso. Mentre il recupero dei corsi azionari rispetto al 2011 è proseguito pressoché ininterrotto e l’andamento dei tassi di Interesse e degli sperad sul debito pubblico non è più tra gli assilli quotidiani del Ministro dell’economia, sono i dati del pil ad essere molto più bassi di quanto ci si attendesse.
IL CIRCOLO VIZIOSO EUROPEO
Si ribalta completamente la prospettiva seguita in questi anni: non esiste la possibilità di risanare la finanza pubblica, e soprattutto di ridurre il debito, aumentando la pressione fiscale l’avanzo primario. L’unica soluzione possibile era di accelerare la dinamica della crescita riducendo i vincoli agli investimenti e detassando gli utili di impresa reimpiegati. Come abbiamo sostenuto sin dall’estate del 2011, era necessario abbattere il debito pubblico con misure straordinarie, segregando l’intero patrimonio pubblico in un unico veicolo e trasformando il debito in titoli rappresentativi di quote del Fondo. Le misure di incrudelimento tributario hanno avuto un unico risultato: distruggere posti di lavoro, far crollare la domanda, gli investimenti ed il pil. Con la conseguenza di far aumentare il debito, sia in termini assoluti sia in percentuale rispetto al pil.
ITALIA ISOLATA
Anche le misure di flessibilità sul bilancio pubblico, che in questi giorni sono state richieste a Bruxelles nell’abito delle trattative per definire l’Agenda strategica dell’UE, risulterebbero in queste condizioni quasi completamente inutili. La stagnazione italiana non è un evento isolato: il pil dell’Eurozona, nel suo complesso, dovrebbe crescere appena dello 0,8% quest’anno e dell’1,4% nel 2015: siamo ad un livello nettamente inferiore alla metà di quanto è stimato per gli Usa, + 1,9% quest’anno ed addirittura +3% nel 2015.
LA ZAVORRA EUROPEA
L’Europa è diventata una zavorra per l’intero globo: accumula risorse finanziarie vendendo beni e servizi, che poi trasferisce al sistema finanziario. Non compra altrettanto, per pareggiare i conti. Eppure, avrebbe tutte le risorse necessarie per investire in innovazione, sviluppo e nuova occupazione. A partire dal capitale umano, dai giovani in cerca di occupazione. Cerca invece la precarietà, per tutti: si limita a sfruttare il sistema produttivo esistente, si attarda in produzioni desuete sfidando i Paesi emergenti sul piano dei bassi salari, della riduzione delle garanzie per i lavoratori e del welfare. Gli Usa stanno penando sul piano dell’export: se in Europa pensavamo di svalutare l’euro, nonostante l’attivo di centinaia di miliardi di euro nelle transazioni commerciali con il resto del mondo, abbiamo sbagliato i conti: stiamo contribuendo ad una crescita squilibrata, che sposta ancora una volta il baricentro dall’economia reale, dal lavoro, lo scambio e gli investimenti, alla accumulazione.
LE NEFASTE POLITICHE RECESSIVE
Non è il tasso di cambio che penalizza gli Usa, ma le nostre politiche recessive. Ed è inutile cercare di far uscire i capitali dei rentier dalla gabbia della liquidità in cui li abbiamo cacciati, anche penalizzandoli con tassi negativi: aspettano solo che gli spread risalgano, per tornare a fare cassa. Gli Usa hanno pompato altra moneta, nuova, nel sistema economico. Ora, non possono rischiare la stagnazione per colpa delle politiche di austerità dell’Europa.
CONCLUSIONE
A fine 2014, l’attivo della bilancia dei pagamenti correnti dell’Eurozona sarà di 391 miliardi di dollari, di cui ben 285 miliardi di pertinenza della Germania. Il passivo degli Usa sarà di identico ammontare, 391 miliardi di dollari. Impossibile che duri. Quando il sistema economico è in difficoltà, in America si stampano dollari, mentre in Europa si fabbricano disoccupati. Impossibile che regga.