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Se il successo Ue di Renzi passa da Frau Merkel

Non nascondo di provare un crescente fastidio per lo sport che da tempo ha soppiantato il calcio nelle passioni popolari delle élite italiane: dare addosso alla Germania. Ne parlino pure male, ma solo dopo aver ricordato alcuni fatterelli.

Dieci anni fa la Rft era il grande malato d’Europa, oggi è il Paese egemone del Vecchio continente. Il miracolo ha un nome, Agenda 2010, ovvero la più radicale riconversione del sistema economico, dello stato sociale e delle relazioni industriali mai realizzata nella storia del dopoguerra tedesco.

Essa fu avviata dal governo rosso-verde di Gerhard Schröder e portata a termine dal governo di grande coalizione di Angela Merkel. Certo, grazie anche allo sforamento temporaneo dei parametri di Maastricht, ottenuto però -non va sottaciuto- proprio in virtù del gigantesco sforzo di modernizzazione del “Modell Deutschland” allora messo in campo (non lo dimentichino quanti lo invocano da noi , ma gratis).

Tutte cose arcinote, si obietterà. È vero. Dovrebbero però suggerire agli euroscettici per mestiere di casa nostra più prudenza e più sobrietà nei chiacchiericci bellicosi contro Berlino. “Non voglio accettare che le soluzioni falliscano a causa di interessi particolari perché manca la forza per agire insieme”, disse Schröder il 14 marzo 2003 al Bundestag -annunciando il suo programma di riforme.

Una risolutezza costata cara all’Spd in termini elettorali, ma che ha spianato la strada al più basso tasso di disoccupazione giovanile di Eurolandia. Ebbene, in Italia ci sono classi dirigenti, partiti e leader politici che hanno lo stesso coraggio e la stessa lungimiranza?

A Matteo Renzi sono qualità che non mancano, ma deve fare fare attenzione a non sopravvalutarle troppo. Per lui oggi al Parlamento di Strasburgo inizia una nuova avventura politica. A qualcuno potrà non piacere, ma il suo esito è in larga misura legato ai rapporti che riuscirà a stabilire con Frau Merkel. Magari convincendo la cancelliera che i suoi connazionali hanno non solo la necessità storica e morale, ma soprattutto l’interesse a puntare su una Germania europea, e non su un’Europa tedesca.



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