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Poste, perché Renzi e Caio hanno accantonato la privatizzazione di Letta e Sarmi

Prima di privatizzare Poste, “bisogna trovare un nuovo punto di equilibrio per la sostenibilità di ogni singolo business. Parola del nuovo vertice di Poste Italiane nominato dal governo Renzi. Inoltre, ha messo per iscritto il gruppo presieduto da Luisa Todini e guidato dall’ad, Francesco Caio, vanno “riscritte norme e regole che disciplinano l’attività dei recapiti” e il finanziamento da parte dello Stato. Sono queste alcune delle motivazioni che hanno indotto i vertici del gruppo controllato dallo Stato, quindi con l’assenso del governo Renzi, ad accantonare la privatizzazione del 40% di Poste messa in cantiere quando a Palazzo Chigi c’era Enrico Letta, al Tesoro Fabrizio Saccomanni e alle Poste Massimo Sarmi.

LA RETROMARCIA DOPO FINCANTIERI

Quindi dopo l’Offerta pubblica di acquisto di Fincantieri al di sotto delle attese, due giorni fa è arrivata con una nota ufficiale della società capitanata da Caio la retromarcia rispetto alla tempistica prevista per la privatizzazione di Poste Italiane. I documenti di finanza pubblica del governo Renzi indicano nello 0,7% del Pil ogni anno gli introiti derivanti dalla cessione di quote di aziende del Tesoro al mercato; quindi circa 11 miliardi di euro sia per il 2014 che per il 2015 che per il 2016.

L’IMPOSTAZIONE DI CAIO

Il capo azienda di Poste ha annunciato un’inversione di rotta rispetto all’impostazione che era stata concordata dal predecessore, Sarmi, con l’esecutivo Letta. “Non si privatizza per modernizzare la società, ma l’esatto contrario”, ha scritto ieri Laura Serafini del Sole 24 Ore. “la quotazione è una grande opportunità – ha detto Caio – che va colta non solo per fare cassa ma anche per modernizzare Poste e farne il vettore della modernizzazione del Paese”.

IL NODO DEI RECAPITI

Uno dei nodi aziendali, ma soprattutto economici, da sciogliere secondo il capo azienda di Poste è quello dei recapiti, dove i costi evidentemente sono superiori ai ricavi. Le parole di Caio non lasciano spazio a dubbi: “La sostenibilità del business di Poste deve passare per la sostenibilità di ogni singolo business”. “Non è più possibile – ha aggiunto – finanziare all’infinito con i proventi del settore finanziario e delle assicurazioni il comparto dei recapiti”.

LO SBILANCIO DEL SERVIZIO UNIVERSALE

La richiesta più impellente di Caio verso l’Agcom e il ministero dello Sviluppo riguarda proprio il servizio universale: la spedizione d lettere, raccomandate, il pagamento dei bollettini ecc. Questo servizio costa a Poste “un miliardo”, ha detto il capo azienda, “ma il contributo dello Stato è solo di 340 milioni” l’anno. “In realtà Poste – ha scritto il Sole 24 Ore – ha avanzato all’authority per le comunicazioni una richiesta di 700 milioni di euro l’anno per gli ultimi 3 anni, ma il nuovo modello in via di consultazione elaborato dall’Autorità porterebbe a riconoscere un contributo ben inferiore ai 340 milioni sinora garantiti”.

GLI ALTRI DOSSIER APERTI

C’è in ballo anche la convenzione da siglare con la Cassa depositi e prestiti per i prodotti del risparmio postale. L’obiettivo di Caio è di “ridefinire il nostro rapporto con un contratto di remunerazione che rimuova il rischio di possibili conflitti di interessi”.



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