Skip to main content

Vi spiego perché l’austerità flessibile è una boiata

Da molto tempo ormai è stato issato un “muro di gomma” e di complice omertà a difesa dell’attuale costruzione monetaria europea, considerata come unica panacea per risolvere ogni problema che affligge il nostro Paese e in più in generale la profonda crisi d’identità del Vecchio continente. Si cerca di sovrapporre l’Europa e l’aggregazione monetaria come un tutt’uno, mentre sono due concetti in questo momento in contrasto, in quanto, se problemi sussistono, sono proprio esclusivamente a carico della moneta unica. Nel nostro Paese è totalmente mancato un dibattito costruttivo sulla tematica a differenza degli altri in cui tutte le forze si sono confrontate da tempo.

Il vincolo esterno, che nelle intenzioni dei costruttori di Maastricht avrebbe dovuto rappresentare la massima garanzia per la crescita delle economie europee, si è ben presto rivelato un cappio al collo per gran parte di esse, avendo introdotto regole anacronistiche a beneficio di pochi e a discapito di molti. Il modello economico di riferimento su cui è stato costruito l’euro, ponendo come unico dogma la stabilità dei prezzi e il rigore dei conti come presupposto per la crescita stessa, si è ben presto rivelato di fatto un metodo esclusivo di governo sovranazionale, travalicando e surrogando quelli democraticamente previsti e legittimati dal suffragio universale. E’ stato violato lo stesso concetto di democrazia, estraniando non solo i rispettivi Parlamenti e Governi nazionali da qualsiasi potere decisionale, ma interrompendo quell’essenziale legame imprescindibile e non negoziabile che lega i cittadini alle Istituzioni democraticamente elette. In questo momento, per come si sta utilizzando la democrazia, siamo subendo la più subdola delle dittature! Si, siamo in piena dittatura economica.

Le rispettive economie nazionali non hanno più potuto mettere in atto politiche economiche perfettamente tarate per le proprie caratteristiche ed esigenze di crescita e tutto è stato demandato ad un sistema oligarchico autoreferenziale che ha utilizzato i propri poteri a scapito del bene comune. Sono stati attivati dei “piloti automatici” per il sostentamento della costruzione monetaria esclusivamente al fine di salvaguardare il sistema finanziario e non certo a vantaggio del sistema delle imprese e delle famiglie.

L’attuale dissennata conduzione per il sostentamento e la sopravvivenza stessa dell’area valutaria comune, porterà inevitabilmente al disastro e l’unica via d’uscita possibile è nel ridisegnare profondamente questa impostazione poiché in palese contrasto con qualsiasi elementare principio economico di crescita nella stragrande maggioranza dei paesi membri, anche a costo di ritornare ciascuno sui propri passi verso l’autonoma Sovranità monetaria perduta.

Il ricorso esasperato all’austerity ha determinato un continuo e devastante effetto moltiplicatore della crisi non percepito né dai suoi più accaniti sostenitori né paradossalmente dagli ormai tanti critici, in quanto l’austerity stessa è semplicemente l’applicazione tecnica del modello economico posto a sostegno della moneta unica. Il rigore dei conti non è altro che l’unico modo per supportare l’euro, avendo i Trattati e regolamenti comunitari privato i propri membri degli strumenti base per la gestione dei fabbisogni finanziari degli Stati. In ultima analisi gli ideatori di Maastricht hanno considerato a tutti gli effetti, per mezzo del ricorso fiscale, i cittadini e il sistema delle imprese i veri ed unici prestatori di ultima istanza, non contemplando una Banca Centrale con tale funzione. Pertanto l’euro non è sostenibile senza il ricorso all’austerità e qualsiasi modifica ai Trattati non porterebbe a nessun miglioramento.

La domanda d’obbligo pertanto è la seguente: che vantaggio può avere la possibilità di ottenere più flessibilità dalle rigidissime regole di bilancio, se “sforare” di qualche decimo di percentuale il 3% significherebbe solamente procrastinare i problemi, in quanto tale possibilità si trasferirebbe in un immancabile aumento del debito pubblico rimanendo tuttavia privi di qualsiasi strumento idoneo alla sua gestione? E poi che senso avrebbe chiedere tale sforamento dal 3% quando la stessa classe politica ha già firmato il Fiscal Compact che prevede l’introduzione nel dettame costituzionale del principio del pareggio di bilancio? Ricordo inoltre che dei 25 Stati firmatari il Fiscal Compact solamente l’Italia ha già modificato la propria Costituzione (art.81) per recepirne gli obblighi.

Nel nostro futuro pertanto rimangono solamente, oltre al sempre più oneroso ricorso al drenaggio fiscale, il taglio della spesa e le dismissioni del patrimonio pubblico. Sappiamo però che la spesa primaria italiana, cioè al netto degli interessi sul debito, è già inferiore alla media UE (dati ufficiali AMECO) e che ulteriori tagli andranno inevitabilmente ad influire sulla spesa sociale e che le dismissioni di patrimonio pubblico rischiano di trasformarsi in vere e proprie svendite di Stato. Risulta conveniente alienare partecipazioni come ENI, ENEL ecc. i cui dividenti percentuali sono superiori al costo del mantenimento del debito che andrebbero a ridurre? Gli immobili da cedere sono spesso occupati da Amministrazioni centrali o periferiche e quest’ultimi si troverebbero nelle condizioni di pagare affitti più onerosi di mercato, annullando qualsiasi effetto di convenienza economica portando a saldo negativo le operazioni di vendita.

A distanza di quindici anni dalla nascita dell’euro, ciò che doveva essere lo strumento per mettere sotto tutela l’esuberanza tedesca dopo la riunificazione, si è rivelato invece il migliore dei mezzi per mettere sotto controllo e tutela l’Europa dalla Germania stessa. L’Italia è stata poi la nazione che ha sofferto di più: seppur adottando in passato un modello economico imperfetto era riuscita a risorgere dopo il disastro della guerra, raggiungendo l’impensabile traguardo della quarta potenza economica mondiale, sfruttando sapientemente il formidabile connubio fra proprie politiche economiche e il suo innato estro creativo, mentre ora è costretta ad annaspare in una crisi che ha precedenti solo se raffrontata con quella del ’29. Basta analizzare i dati macroeconomici relativi all’andamento della produzione industriale comparata Italia-Germania: man mano che venivano adottate politiche economiche per realizzare la convergenza monetaria, il vantaggio del nostro Paese diminuiva progressivamente fino a raggiungere lo spaventoso divario di meno 41 per cento dei nostri giorni.

E’ possibile che nessuno, ad iniziare dalla nostra classe politica e industriale dirigente, non è mai riuscita ad intuire e comprendere che i vincoli esterni dei Trattati, che dovevano ingenuamente rappresentare nelle loro menti lo stimolo per poter compiere il rinnovamento che in modo autonomo non si sarebbe mai riuscito a realizzare, era nella realtà il modo più subdolo per poter “disinnescare” l’immenso potenziale della nostra industria, ridotta ormai alla deindustrializzazione e alla desertificazione a causa della spietata logica delle aree valutarie? Le dissennate privatizzazioni compiute per far fronte inutilmente agli impegni imposti dai parametri e la globalizzazione dilagante senza regole hanno inesorabilmente fatto il resto.

L’euro ha permesso che i problemi nazionali diventassero definitivamente cronici e che nessuna terapia fosse ormai più idonea, ad iniziare dall’esplosione dei debiti pubblici e privati, ormai monchi dei mezzi di gestione classici di politica economica a disposizione di qualsiasi Stato Sovrano. Come è possibile qualsiasi forma di crescita economica se si è adottata una moneta anomala la cui rigidità delle regole condizionano a senso unico l’economia reale e non viceversa, così come avviene in tutti i sistemi economici del resto del mondo?

La moneta comune ha dimostrato inequivocabilmente di aver amplificato le crisi economico-finanziarie esogene, trasferendo oltremodo alle economie reali domestiche gli oneri e i costi, sottraendo risorse vitali alla crescita per destinarle alla mutualizzazione degli errori compiuti altrove e nell’interesse di pochi, tradendo l’iniziale visione dei Padri Fondatori che avevano posto il cittadino al centro del disegno d’Europa.

Non a caso dei 28 paesi membri dell’UE quelli che vantano saggi di crescita positivi e che hanno meglio resistito alla crisi, sono proprio quelli che non adottano l’euro, a testimonianza che le autonomie nella gestione delle proprie politiche economiche hanno protetto quei paesi dagli shock esterni non prevedibili e ne tantomeno gestibili. Da evidenziare che lo stesso Trattato di Lisbona prevede, agli artt.139 e 140, la convivenza all’interno della UE di Paesi “con deroga” e “senza deroga”, cioè con la possibilità di rimanere con la propria valuta adottando l’euro.

Alla luce di quanto esposto, è giunto pertanto il tempo di verificare se i vantaggi tanto declamati negli anni passati per l’adozione della moneta comune sussistono ancora e se i disagi ormai non siano superiori. E’ necessario però considerare sui piatti della bilancia non più solamente gli sterili dati e parametri macroeconomici, come i rapporti fra deficit e PIL e quest’ultimo con l’entità dei debiti pubblici, ma inserire ben più significativi elementi che identificano l’economia reale e la dignità stessa dell’individuo. Cosa ce ne facciamo nell’avere la “virtuosità” del tasso dell’inflazione al 0,3% se per poi perseguirla ci ritroviamo al 13 e passa per cento di disoccupazione con vergognose punte percentuali per i giovani? Cosa ci interessa ossessivamente rincorrere parametri e numeretti per soddisfare esclusivamente le regole dei Trattati e dei regolamenti comunitari se poi il prezzo da pagare come contropartita è la dissoluzione di una Nazione, dello Stato sociale, la disperazione di famiglie e di piccole imprese, che ricordo essere il 90 per cento del nostro tessuto industriale? E’ anche possibile che nessuno faccia gli interessi veri del suo Paese per il bene comune della sua gente?

foto



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter