Lei aveva un cappello a larga tesa. Lui la guardava mentre il sole tramontava alle spalle di lei. Non riusciva a vederle il volto in ombra, protetto da una sottile veletta d’organza. Aveva ceduto la sua terra, lei. Compromessa in quel compromesso da poco sottoscritto. Era impossibile leggerne, nello sguardo, qualunque sentimento. Prima di tornare a casa lei volle tornare a guardare ancora un’ultima volta l’agrumeto perdersi dietro alla collina sulla cui sommità la fila di mandorli faceva l’ultimo turno di guardia a quella giornata.
Non si dissero nulla i due. La macchina intanto s’inerpicava lungo gli otto tornanti scavati tra la roccia calcarea. Ognuno, a ogni curva dove la macchina arrivava vicino alla roccia, vide, in quelle pietre levigate del tempo, mascheroni dalle più diverse fattezze. Quelle che a ciascuno disegnava la mente in cui portava dalle paure e dalle nostalgie di ciascuno.
Il giorno dopo lui andò verso il mare. Scelse una di quelle strade sterrate che attraversano plotoni di carrubi che al suo passaggio eseguono il presentatarm sfiorandosi le chiome. La strada a un certo punto piega sulla sinistra barcollando aggrappata ai muri a secco sui fianchi fino alla scogliera. Di fronte a lui, in quella discesa, un’immagine che pareva un quadro. La cornice era quella fatta da i pali di legno astemi che sorreggevano i cavi dell’elettricità che in ogni palo si conficcavano, appunto, in una sorta di bicchieri rovesciati. La tela il mare. Il mare e il cielo uniti in un unico azzurro. Man mano che si avvicinava più i dettagli di quel quadro gli si chiarivano nella mente. Vide il bianco dell’onda incresparsi. Colse il leggero dondolare del mare per via delle correnti da destra verso sinistra. Un moto immobile. Più si avvicinava più quell’azzurro che da lontano appariva una somma di striature di diversa intensità si sfasciava liofilizzandosi in una variante sempre più diafana, senza più tenue. Il mare e il cielo si confondevano. Neanche la luna e una piccola coda di nube che la rincorreva copiandone la forma di falce riuscivano a distinguerle il cielo dal mare. Perché sul mare in lontananza due ondine capricciose senza aspettare che il vento le provocasse copiavano cosa accadeva sopra di loro. Nell’ultimo tratto prese la corsa quasi a volersi gettare in quell’azzurro sempre più bianco che ormai era un tutt’uno con il riverbero abbacinante del sole di mezzogiorno sullo sterrato di pietruzze bianchissime. Chiuse gli occhi e compresse in quell’immagine tutta una nostalgia di vita.
Quando riaprì gli occhi l’aereo su cui viaggiava stava terminando una virata a dritta e lui che guardava dall’oblò vide le nubi avvolgersi come lo zucchero filato. A fare da bastoncini le cime delle Alpi in fila una accanto all’altra. Ripensò al suo mare, ripensò a lei. Pensò per un istante di possedere tutto. Anche se solo nella trasparenza della rinuncia.
La trasparenza della rinuncia
Di