Eravamo con il Signor Stornello accovacciati sopra tronchi di carrubo sotto alla tettoia che guardava una distesa di terra buona che non finiva mai e che ti faceva venire il male alla schiena solo a guardarla. Gesticolavi senza parlare per allontanare le mosche attirate dalla scumazza che fa il pomodoro quando lo stacchi dalla pianta e di cui avevi appiccicate le mani. Due panini alla mortadella, du canuzzi bastardissimi, un gatto che si sentiva cane, facevano da testimoni. Si parlava di mercati, di agricoltura e quindi di economia. Di geopolitica in un certo senso, perché per far andare la trivella e innaffiare ci vuole la nafta che, pure se Priolo e Gela sono a due passi, costa come andare a comprarsela nel Golfo Persico tutte la mattine. Non conviene più mi diceva il Signor Stornello spaccarsi la schiena, ma io sono attaccato a questa terra con le radici peggio delle piante che pianto. Che pianto, già, questione di participio passato è.
Se solo i politicanti facessero come a mia, mi dice – Sceccu porta, sceccu mangia – . Ecco, voi a Bruxelles chiamatela sostenibilità la lingua che non capite.
Voi a Bruxelles chiamatela sostenibilità la lingua che non capite
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