Si sta assistendo, finalmente, all’inizio di un dibattito (pur sempre allo stato germinale) fuori dai soli addetti ai lavori in merito ai cosiddetti “Mega-regional Trade Agreements” che ormai da anni si stanno discutendo a livello mondiale.
In particolare questi accordi sono il TTIP (Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership) e il TPP (Trans-Pacific Partnership). Il primo coinvolge Stati Uniti d’America e Unione Europea, il secondo riguarda alcuni stati affacciati sull’Oceano Pacifico (dapprima tra i soli Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore, ora si aggiungono America del Nord, Giappone, Malesia, Peru, Vietnam e forse Sud Corea).
Sinteticamente questi accordi commerciali hanno l’obiettivo di abbattere dazi e dogane tra i paesi partecipanti con conseguenze inevitabili quali l’apertura nuovi mercati, variazioni dei prezzi in nuovo contesto aperto e competitivo e l’armonizzazione di standard a livello di governi e imprese.
Non entriamo nei particolari di questi accordi (ancora in piena trattativa), ma elenchiamo brevemente alcuni punti chiave.
Prima di tutto il cambiamento del sistema mondiale del commercio: l’importanza degli accordi regionali (RTAs) con un trend crescente che ha inizio dalla metà degli anni 90 e insieme il rafforzamento del ruolo del WTO. Punti di svolta il NAFTA con cui gli USA hanno iniziato il cosiddetto “neo-regionalismo”, l’integrazione sempre più forte dell’EU e la nuova onda degli stati asiatici soprattutto dopo la crisi finanziaria della fine degli anni 90. TTIP e TTP possono essere letti come continuazione, con USA e EU economie guida.
Il fallimento della recente Doha (con nuovo contesto più protezionista) ha portato alla luce l’inefficienza nella parte di creazione di policy e nella contrattazione multilaterale. Vari motivi, tra cui l’ingresso di muovi membri nel WTO, la crisi finanziaria recente, visioni diverse nelle economie sviluppate e tra i paesi emergenti, il cambiamento dei rapporti di forza e negoziali.
Qui uno dei punti fondamentali: in un mondo che appare ingovernabile, un contesto multipolare con nuove forze che si sono imposte (BRICS e non solo), gli USA e l’Unione Europea quali pilastri del mondo occidentale non vogliono perdere il ruolo che è stato per decenni (e secoli) e affrontano questo nuovo scenario.
Le due grandi sponde dell’Atlantico (e specularmente con Giappone, del Pacifico) vogliono mantenere un ruolo decisivo nel 21° secolo. Dopo l’11 Settembre il mondo ha affrontato un periodo di transizione nella politica mondiale. La crisi finanziaria del 2008 ha esposto le debolezze di Stati Uniti ed Europa e reso plastica la loro situazione in un mondo che è cambiato completamente.
Il risultato di questi accordi non è solo economico: si vede il nascere di un nuovo Patto Occidentale che nei fatti andrebbe ad unire sempre più le nazioni che ne fanno parte (come è sempre stato con le aperture commerciali). Un’auspicabile ritorno ad un Occidente che pare ora sempre più debole e che non riesce a far passare la sua visione. Forte di un modello passato che è il vero perno di un mondo libero e di benessere che pare aver dimenticato.
Tutto può ancora essere messo in discussione con USA e EU e i loro rispettivi interessi, ma un ritorno ad Occidente è la strada da percorrere per la prosperità.
Clicca qui per leggere l’analisi completa sul sito de La Cosa Blu