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La Sicilia è un catasterismo collettivo

In principio era di Eratostene. Il trafficare della mente che non sa stare ferma era il crivello. Tutto un setacciare i numeri messi dentro alla testa fatta crivu. Fu così che il vecchio filosofo d’Iskander, che aveva saputo abbracciare la pancia della Terra, scoprì i numeri primi.
Siccome la storia si diverte a ripetersi ma soprattutto a burlarsi dell’uomo che la studia annotando i fatti passati nel crivu dei ricordi collettivi, il crivello ora è diventato lo sragionare della mente che non sa stare che ferma. Ferma e indolente vittima del suo egoistico e inconcludente contemplare. Il suo setacciare, dalle parti di Palazzo delle Aquile, non fa passare più nulla. Manco un numero primo. E così a ragionare con il gotha del mondo, tutti numeri primi, per l’affitto dei templi ci va il pastore che tutto l’anno varda li pecuri tra le colonne doriche. E lui, il pastore che conosce la misura dei denari, ma non quella della finanza, glielo offre a qualche migliaio di euro, una specie di usucapione di 4 giorni. La Sicilia s’affrunta a chiedere troppo per le sue bellezze, s’affrunta a mercificare il proprio patrimonio e a farne strumento di reddito. E se ci fosse un telecamera davanti lei la Sicilia direbbe così: “Le mie mani sembrano di una di sessant’anni ma ne faccio trenta a Maggio. Qui non mi sposa nessuno perché dicono che sono stata con gli americani”. La Sicilia è un catasterismo collettivo.


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