Più una polemica ferragostana di un partner di governo in cerca di visibilità che la reale soluzione ai problemi dell’Italia. Inquadra così la discussione di questi giorni sull’abolizione dell’articolo 18 Guido Gentili, editorialista e già direttore del Sole 24 Ore, che fa il punto con Formiche.net su agenda e priorità economiche del governo.
Direttore, fa bene Angelino Alfano a proporre l’abolizione dell’articolo 18 entro agosto o è una discussione inutile da addetti ai lavori, come dice Matteo Renzi?
Abolire l’articolo 18 sarebbe un risultato importante per la sua segnalazione politica, avrebbe un alto valore simbolico agli occhi dell’Europa che non ha mai specificatamente indicato di farlo ma ha sempre chiesto all’Italia una riforma del mercato del lavoro. Non voglio minimizzare la proposta ma, detto questo, mi è sembrata più la polemica ferragostana per ricercare visibilità da parte di un partner di governo piuttosto che una reale idea riformatrice su questo tema.
L’abolizione dell’articolo 18 non è dunque la panacea di tutti i mali dell’Italia?
L’Italia è in una situazione complicatissima in cui si sommano l’alto debito, la decrescita e la deflazione. Pensare di superarla mettendo mano alle regole del mercato sul lavoro è illusorio. Tanto più che di abolire l’articolo 18 se ne parla da anni. Almeno dal 1997, quando l’allora senatore Franco Debenedetti presentò un disegno di legge sull’argomento, se ne discusse a lungo ma poi non se ne fece nulla. Ci fu una grande occasione persa agli inizi del duemila con il celebre Libro bianco di Marco Biagi che poi finì tragicamente per il giuslavorista e il centrodestra rinunciò alla riforma. Sarebbe stata da fare allora.
Come si dovrebbe intervenire oggi sul mercato del lavoro?
Magari prendendo esempio dal caso spagnolo. La riforma del 2012 sul mercato del lavoro iberico mi sembra importante. Sebbene la disoccupazione sia ancora al 26%, sta dando buoni risultati. Spostare l’asse sulla contrattazione, legare gli aumenti salariali alla produttività potrebbe essere una strada da intraprendere anche in Italia, piuttosto che andare a spaccarsi sull’articolo 18.
Quali sono le misure più urgenti da attuare per far ripartire la crescita?
Da un lato le misure per sbloccare la burocrazia. Per attrarre gli investimenti, bisogna evitare certi scivoloni come per esempio quelli del decreto spalma-incentivi sulle rinnovabili che ha ricevuto molte critiche dai fondi di investimento e dalla stampa internazionale. E poi serve una svolta fiscale imponente, una scossa per abbassare le tasse, in primis sul lavoro, e un taglio forte delle spese, sulle municipalizzare per esempio.
C’è il rischio di un commissariamento dell’Italia?
Non lo so, mi auguro di no. In un editoriale di un mese fa sul Sole 24 Ore dicevo che non c’è un minuto da perdere. Lo spread è tornato a salire, l’Italia resta una sorvegliata specialissima. E’ la terza economia d’Europa e ha il più alto debito in rapporto al Pil dopo la Grecia, è normale che dalle sue sorti dipenda l’intera Ue e ci sia molta attenzione nei suoi confronti, bisogna farsene una ragione.
Renzi ha sbagliato agenda? Doveva mettere le misure economiche piuttosto che le riforme istituzionali come priorità?
Direi di no, le riforme istituzionali sono importanti, avere raggiunto il primo sì sulla fine del bicameralismo perfetto in un ramo del Parlamento è un passaggio significativo. È mancata, se vogliamo, la contemporaneità di un’azione incisiva sull’economia e sui decreti attuativi, una palla al piede che ci trasciniamo dal governo Monti. Il governo ha sbagliato a posticipare il Jobs act che ha presentato in primavera alla fine dell’anno. Ora la forza dei numeri è tornata a farsi sentire e bisogna intervenire in fretta.
Qual è l’umore tra gli industriali sull’azione del governo?
Complice il periodo agostano, non ci sono state uscite significative a riguardo. Ma c’è grande attesa per le scelte che il governo dovrà fare a settembre. Gli industriali si aspettano una svolta che consenta di riprendere gli investimenti e di ridare un orizzonte al Paese.