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Perché Putin va alla guerra alimentare contro l’Occidente

La scelta di Vladimir Putin di reagire alle sanzioni americane con uno stop alle importazioni agroalimentari ricorda a chi se lo fosse scordato che il cibo è una potente leva geopolitica, oggi più che mai.

NON SOLO GAS

Per anni il dibattito sui rapporti Occidente-Russia si è soffermato soprattutto sull’energia, giungendo un po’ frettolosamente alla conclusione che la capacità di condizionamento di Mosca passi solo dal reticolato energetico tra Russia ed Europa. Dopo aver accelerato gli accordi di partnership energetica con la Cina per controbilanciare tatticamente la minaccia di un affrancamento occidentale dal gas russo, Putin ha azionato la manopola del cibo.

UNA VERA GRANA PER LA UE…

Nella UE da un lato lo stop alle importazioni alimentari colpisce grosse economie di trasformazione – è il caso dell’Italia – ma anche e soprattutto Paesi come la Polonia, visceralmente antirusse ma che proprio in Mosca hanno la destinazione privilegiata del proprio export alimentare. Dall’altro lato, la mossa di Mosca segnala che l’orso russo ha nel radar anche il poderoso sistema di sussidi della politica agricola comune, per anni oggetto di difesa strenua da parte della Francia e degli altri Paesi dove il presidio di coltivatori e allevatori è marcato, è oggi uno dei principali collanti tra Bruxelles e il russofobo blocco euro-orientale. Blocco che, se questo sistema si vedesse di colpo privato di uno sbocco primario, si rivelerebbe con ogni probabilità meno allineato con gli altri partner europei di quanto non sia oggi.

LA QUESTIONE TTIP

Senza contare che proprio sul cibo si concentrano alcune delle principali resistenze europee al maxi-accordo di convergenza commerciale transatlantico (TTIP), come dimostrano le violente polemiche sulla diversità di standard tra le due sponde dell’Atlantico. Uno spauracchio particolarmente noto è quello, ad esempio, del cosiddetto «pollo al cloro»: negli Stati Uniti gli allevamenti avicoli hanno obblighi in materia di standard igienici e sanitari molto inferiori a quelli europei, in compenso «sterilizzano» i volatili abbattuti con una «doccia» di cloro. Altre preoccupazioni come noto riguardano il vasto uso di ormoni nella carne bovina e suina, la clonazioni di animali da macello, l’ampio utilizzo di prodotti agricoli geneticamente modificati.

LA CLAVA DI WASHINGTON, IL CRICK DI MOSCA

In un plastico contrappunto alle sanzioni americane con il loro climax di durezza, anche Mosca ha individuato una leva – quella alimentare – che può azionare con minacciosità crescente. Finora limitare le importazioni dalla UE colpisce una delle poche componenti vivaci dell’export di anemiche economie europee come quella del Belpaese che proprio l’anno prossimo ospiterà l’Expo dedicata all’alimentazione. Quanti semilavorati rimarranno nei magazzini italiani? Quante importazioni dovranno essere frenate da un’economia di trasformazione come quella italiana perché con il mercato russo chiuso l’export è frenato? Con il suo stop, Mosca colpisce anche il compendio di strumenti finanziari statali e privati posto tradizionalmente a sostegno dell’export: quanta parte dell’export alimentare italiano beneficia di garanzie SACE e strumenti SIMEST? Quanti derivati sono stati accesi con il sistema creditizio italiano, quanti contratti stipulati con banche internazionali specializzate nel cibo come la olandese Rabobank?

CHI GOVERNA IL CIBO CONDIZIONA IL MONDO

Mosca sa che può stringere ulteriormente le viti, ad esempio colpendo l’export ucraino di grano. Una mossa, quest’ultima, le cui ripercussioni sarebbero di gran lunga superiori a quelle avute fin qui. Molte recenti sommosse popolari lungo tutto l’arco di destabilizzazione mediterraneo hanno infatti avuto nell’improvvisa scarsità di generi alimentari e nei corrispondenti rialzi dei prezzi il proprio detonatore. Mosca ha davvero l’interesse a mettere in moto simili dinamiche destabilizzanti? Queste colonne ne dubitano, ma è certo che i consiglieri di Putin hanno colto nel cibo una cifra geopolitica dei nostri tempi. Difficile dare loro torto: oggi a interessarsi di cibo sono sempre di più soggetti statali, in una moderna riedizione della corsa alla tratta delle spezie dei grandi Imperi o come quella che vide protagonisti due “antenati” degli odierni fondi sovrani come la Compagnia delle Indie olandese e quella britannica tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo. E ciò perché per alcuni Paesi come quelli mediorientali comprare cibo diversificando i proventi energetici significa compensare la scarsa dotazione alimentare – il Qatar ne è a tal punto ossessionato da avere un suo fondo sovrano alimentare, Hassad food. Per altri Paesi come la Cina il cibo è lo strumento primario per soddisfare una enorme classe media emergente con nuovi e sempre più sofisticati modelli di consumo.

L’appetito, verrebbe da dire, è ancora sovrano. Lo sa anche Putin.

Francesco Galietti (Fondatore di Policy Sonar)


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