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Non c’è dialogo senza identità. La “ricetta” di Papa Francesco

I media di tutto il mondo, compresi quelli italiani, hanno dato grande risalto – né poteva essere diversamente, vista l’emergenza – alle parole del Papa sulla situazione in Iraq, pronunciate durante il volo di rientro dalla visita in Corea del Sud. “In questi casi” – ha detto il pontefice – “dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare o fare la guerra, dico fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere valutati”. Parole che segnano indubbiamente un’escalation e una virata decisa nell’approccio della chiesa alla questione dei cristiani (e non solo) perseguitati dal Califfato dell’Isis, dopo le prime prese di posizione che sono apparse a più di un osservatore tiepide e soprattutto tardive. Parole, quelle di Bergoglio, in ogni caso lontane anni luce da certo pacifismo a senso unico che pure alberga in ampi settori del mondo cattolico, o da certe affermazioni a dir poco equivoche, come quelle del segretario della Cei Nunzio Galantino intervistato dal Corriere qualche giorno fa, che come ha giustamente notato Angelo Panebianco in un memorabile editoriale sempre sul quotidiano di via Solferino, “ha dato anche al lettore l’impressione, sicuramente sbagliata, di mettere sullo stesso piano il «fondamentalismo» occidentale, l’ostilità di molti occidentali per l’islam, e le azioni dell’Isis e degli altri movimenti jihadisti.”
Bene ha fatto dunque il pontefice ha dire a chiare note – riallacciandosi per altro alla dottrina giovanpaolina dell’ingerenza umanitaria – che bisogna fermare l’aggressione in atto. “Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto che l’umanità ha” – dice ancora il papa. “Ma c’è anche un diritto dell’aggressore ad essere fermato, perché non faccia del male”. E se è vero , come ha notato Pierluigi Battista, che ora la chiesa “non è certo diventata bellicista”, è altrettanto vero però che “difficilmente chi si è sempre nascosto sotto il manto papale per dare autorevolezza a una linea di «pacifismo» assoluto troverà accoglienza a piazza San Pietro. Se, come dicevamo all’inizio”, le parole del Papa sull’Iraq hanno fatto il giro del mondo, i media hanno invece riservato un silenzio quasi totale al discorso che Bergoglio ha tenuto durante l’incontro con i vescovi dell’Asia. Eppure si tratta di un intervento importante, che testimonia non solo quanto sia infondata e (volutamente) artificiale l’immagine di un papa estraneo a temi e argomenti culturali di un certo tipo, ma anche di quanto profondo sia il legame con Benedetto XVI con cui, ha detto Bergoglio, “ci vediamo spesso” e “abbiamo un rapporto fraterno”. A riprova che la vicinanza tra i due papi non è solo fisica, ma va ben oltre, e che forse l’ipotesi circolata nei mesi scorsi che a guidare la chiesa ci siano davvero due papi – uno, Ratzinger, dedito alla cura spirituale, e l’altro, Bergoglio, al governo – non è poi così peregrina.
Nel suo discorso Papa Francesco ha ricordato come il dialogo sia parte essenziale della missione della Chiesa in Asia. Ma contro un’idea “debole” di dialogo, il pontefice ha subito chiarito che non ci si può impegnare in un vero dialogo “se non siamo consapevoli della nostra identità. Dal niente, dal nulla, dalla nebbia dell’autocoscienza non si può dialogare”. Identità, dunque, e identità cristiana. L’altro ingrediente è l’empatia, come capacità di apertura e ascolto nei confronti dell’altro. Senza questi due pilastri – identità ed empatia – il dialogo è sterile. Ma – e qui Francesco ha affondato la lama – l’identità è un qualcosa di cui dobbiamo sempre riappropriarci perché sempre saremo tentati dallo spirito del mondo. Come? In tre modi. Il primo, dice il papa, è “l’abbaglio ingannevole del relativismo, che oscura lo splendore della verità e, scuotendo la terra sotto i nostri piedi, ci spinge verso sabbie mobili, le sabbie mobili della confusione e della disperazione”; il secondo, è la superficialità, ovvero “la tendenza a giocherellare con le cose di moda, gli aggeggi e le distrazioni piuttosto che dedicarsi alle cose che realmente contano”; il terzo modo, è “l’apparente sicurezza di nascondersi dietro risposte facili, frasi fatte, leggi e regolamenti”, cioè la tentazione di dare tutto per già scontato e codificato, racchiuso in codici e codicilli che soffocano lo Spirito.
Questi i tre “no” del papa: no al relativismo, no alla superficialità, no alle risposte facili. Solo così i cristiani sapranno essere e testimoniare ciò che sono, e recuperare la propria identità, conditio sine qua non per un vero dialogo.



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