Auguriamoci che l’autunno sia meno oppressivo di questa estate agli sgoccioli, che ci riconsegna un Paese abissalmente lontano da quell’Italia che seppe rialzarsi dopo un disastro immane e costruire una solida democrazia pur misurandosi con condizionamenti pesantissimi interni e internazionali, politici e culturali. Ricordiamo ai giovani come si è passati dal sistema dei partiti del dopoguerra, cui si affidava con fiducia una società civile intrisa di sofferenze e di speranze, alla crisi verticale degli anni Ottanta e Novanta e al suo ulteriore degradare nei decenni successivi. Chiediamo loro, ai “giovani leoni” di comprendere perché il dibattito sui primi anni del dopoguerra abbia progressivamente abbandonato le controversie sulle “occasioni perdute” e ci si sia trovati quasi insensibilmente a interrogarsi sulla straordinaria opera che fu allora compiuta. Nel 1946 la vittoria della Repubblica fu un “miracolo della ragione”che ebbe il sopravvento sulle passioni e le tensioni ma seppe comprenderle.
Il partito di Togliatti segnato com’era dal leninismo-stalinismo, sarebbe diventato un solidissimo baluardo della Repubblica democratica abbandonando faticosamente la svalutazione della “democrazia formale” e identificando progressivamente la “democrazia sostanziale” con la Costituzione, mentre De Gasperi era impegnato a far crescere l’idea di democrazia incerta allora anche nel mondo cattolico, segnato dall’esperienza del fascismo e portato, in quell’area oltranzista che De Gasperi dovette combattere fortemente presente oltre Tevere e nell’Azione Cattolica di Gedda. Si aggiunga che poco si prestava ad una “pedagogia democratica” l’Italia che usciva dal fascismo e dalla guerra. «Il volto della patria aveva qualcosa di apocalittico», disse Togliatti evocando quel che vide giungendovi dall’Urss nel marzo del 1944.E altrettanto fondamentale dobbiamo ricordare ai giovani sul versante opposto la capacità di quella Dc di rivolgersi alle «così dette masse grigie, pigre, le masse lente», per dirla con De Gasperi. Era fondamentale coinvolgerle nella costruzione della Repubblica: per contrapporle alle sinistre, certo, ma anche per sottrarle alla disastrosa influenza della destra qualunquista e monarchica, se non fascista. Rischio concretissimo fra il 1946 e il 1947 e poi di nuovo nei primi anni Cinquanta, in reazione alle misure riformatrici che quella Dc seppe pur fare ma anche con il concorso attivo di un “partito romano” ostile a De Gasperi e molto vicino a Pio XII.
Ricordiamo ai giovani di oggi il quadro reso ancor più aspro dal clima e dal vissuto della guerra fredda: agli uni e agli altri, in totale sincerità, la vittoria dell’avversario appariva una vera catastrofe, coincidente con la scomparsa del proprio mondo e dei propri valori. E foriera di drammatici rischi internazionali, come il calare della “Cortina di ferro” e poi la guerra di Corea vennero a confermare. Attorno alla Dc si saldarono ulteriormente in quel clima anche apparati e culture dello Stato, propensioni ed umori cresciuti e consolidati durante il fascismo: e la chiamata a raccolta contro la “quinta colonna” nemica operante nel Paese rese ancor più impalpabile il confine fra una “democrazia protetta” e una democrazia mutilata. Lo confermano le misure di sorveglianza e discriminazione contro le sinistre (sino al mantenimento del Casellario Politico Centrale, ampliato a dismisura dal fascismo), il “congelamento” della Costituzione, e fin la conservazione delle norme liberticide del Testo unico fascista di Pubblica sicurezza.
Non meno profonde del resto erano le contraddizioni del Pci togliattiano: capace di unire lo stalinismo più aspro a quel ruolo di “liberalismo d’emergenza” nell’Italia clericale e reazionaria dei primi anni Cinquanta. Vero è che la discriminazione e l’annullamento dei dissidenti era solo la spia di qualcosa di più profondo, che atteneva alle modalità stesse dell’“essere comunista”: una militanza totalizzante come “scelta di vita”, la subordinazione dell’iscritto al partito, l’assunzione dell’“individualismo” come disvalore e così via.
In altri termini, a taluni giovani ignoranti e arroganti di oggi, dobbiamo insegnare che Togliatti e De Gasperi hanno lasciato un patrimonio straordinario in questa nostra Italia di oggi che è antropologicamente diversa da quella di allora, ma ancora tanto bisognosa e disponibile a riprendere quel cammino virtuoso che questi due uomini leader indiscussi hanno contribuito a cambiare in meglio. Togliatti visse le contraddizioni in profondità. De Gasperi fu uomo di intelletto e rigore straordinario: li divideva quasi tutto, ma sapevano fare sintesi virtuose nella capacità di guardare al futuro come cifra comune e anche per questo dobbiamo ricordarli insieme.