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Che cosa pensa il ministro Pinotti di F-35, Aeronautica e terrorismo

Minacce terroristiche, Iraq, F35: dopo la pausa estiva, la titolare della Difesa Roberta Pinotti è tornata a parlare in pubblico intervenendo a tutto campo in una intervista a Millenium la trasmissione di Rai3 condotta da Mia Ceran e Marianna Aprile, andata in onda il 26 agosto. Di seguito, una sintesi dei passaggi più significativi dell’intervento del ministro (l’intervista integrale può essere vista sul sito della trasmissione).

Incidente Tornado e orgoglio in Aeronautica Militare

E’ vero che ci sono stati dei tagli alla Difesa ma siamo ben attenti a far sì che questi tagli non vadano a incidere sulla sicurezza dei piloti.  Coloro che fanno i piloti di aerei così complicati come i Tornado, fanno le ore necessarie di addestramento . Stiamo parlando, in questo caso, di 4 professionisti,  di persone con molta esperienza, che avevano molte ore di volo. Sono stata proprio oggi alla base di Ghedi, ho salutato i familiari presenti: potete immaginare con quanto dolore e con quanta commozione.  Ho salutato anche i nostri militari, i piloti dell’aeronautica, i nostri naviganti e tutta la base, che è ovviamente sconvolta per quello che è avvenuto. Quattro persone, quattro professionisti, quattro ragazzi nel fiore degli anni che muoiono in un incidente così drammatico. Fare oggi illazioni su quanto è potuto avvenire è sbagliato: c’è la scatola nera, c’è un’indagine della magistratura in corso, c’è anche un’indagine che vogliamo fare noi come Aeronautica per capire cosa è successo. Quindi, vedremo quale può essere stato il problema. Da quelle che sono oggi le notizie che abbiamo si tratta di una tragica fatalità. Io mi astengo dal dare qualsiasi giudizio perché bisogna aspettare i risultati delle indagini. Però, io vorrei che tutti gli italiani sapessero che quando parliamo delle nostre Forze armate – in questo caso dell’Aeronautica e dei nostri piloti-  parliamo di professionisti di provatissima esperienza, che sono fra i migliori al mondo. Avevano fatto mille volte addestramenti di questo tipo. Per il momento, mi sento di esprimere ancora tanta tristezza e tanto cordoglio per quanto avvenuto.

F-35 e Libro Bianco

Noi abbiamo deciso di fare una verifica e una sospensione di un programma che in realtà va avanti dal 1998. Stiamo infatti parlando di programmi trentennali. Abbiamo deciso di darci uno strumento, quello del Libro Bianco, per domandarci quali sono i rischi e le minacce che ha non solo il mondo, ma anche il nostro Paese, oggi e nel futuro nei prossimi 15 anni. Rispetto a questi rischi, di che cosa possiamo aver bisogno per difenderci. Dentro a questo ragionamento, non soltanto sugli F-35, ma più complessivamente sui sistemi d’arma, dobbiamo vedere quello che è effettivamente necessario e quello che non lo è. Dobbiamo farlo alla luce di un’analisi e non soltanto di un’emozione o sull’onda dell’opinione pubblica , che giustamente chiede che ci siano anche meno spese che possano essere inutili per la Difesa. Per gli 80 euro la Difesa ha dato immediatamente 400milioni, ha deciso di tagliare alcuni investimenti perché riteneva che quello fosse un obiettivo fondamentale. È evidente che non stiamo vivendo in un mondo pacifico, dove non ci sono rischi e minacce: un ministro che si occupa della Difesa, non solo dell’oggi ma anche del domani, ha la responsabilità di non lasciare – né oggi né domani – il nostro Paese sguarnito da una Difesa, che sulla base della nostra Costituzione è sempre una difesa e mai un aggressione. L’Italia non aggredisce, l’Italia ripudia la guerra ma decide, come abbiamo fatto nel caso dei Curdi,  che quando è necessario bisogna potersi difendere.

Iraq e Islamic State

Abbiamo di fronte a noi una situazione gravissima che non va sottovalutata. In particolare, in tutta l’Africa settentrionale e in Medio Oriente preoccupa l’ipotesi di costituire un Califfato che sta perpetrando efferatezze incredibili  e più in generale desta timori un fondamentalismo islamico terrorista che produce incertezza non solo in quei territori ma tutto il mondo. Quindi,  credo che sia stato giusto intervenire e l’Italia ha fatto bene a stimolare l’Europa perché prendesse una posizione unanime. E’ stato importante aver trovato un’ampia adesione del Parlamento perché, pur non bastando,  la decisione di armare i Curdi –  in accordo con le Autorità irachene – è un primo passo importante perché questi possano proteggere le popolazioni e autodifendersi. È una condizione assolutamente essenziale consolidare la situazione in quelle zone e in quei territori. Stiamo vedendo che nascono anche alleanze che fino a poco tempo fa potevano sembrare impensabili. La percezione del rischio ormai è diffusa e ci deve essere una risposta, una risposta coordinata.

Intervento diretto dell’Italia in Iraq

Nessuno ha mai parlato di interventi diretti. Allo stato delle cose, non è questo quello che si è deciso, non è quello che ha deciso l’Europa, non è quello che ha deciso l’Italia. Abbiamo deciso di dare le armi ai curdi dopo che c’è stato un viaggio importante – avvenuto nei momenti in cui stava diventando più acceso lo scontro – del nostro vice ministro Pistelli, dopo questo c’è stata una forte spinta del ministro Mogherini  perché l’Europa assumesse una decisione e questo è stato un modo di agire dell’Italia a mio avviso molto positivo. Pensiamo che in quella realtà non si tratta di creare ulteriori divisioni ma abbiamo agito in accordo con le Autorità irachene. Questo è un passaggio che consente di non creare situazioni, anche per il futuro, che possano essere fonte di nuove e diverse tensioni. Ovviamente stiamo parlando di situazioni di grande difficoltà: di quali armi dare ne abbiamo  parlato anche con i nostri servizi di intelligence e accordandoci con le altre nazioni europee che stanno fornendo anche loro armamenti. Oggi noi pensiamo che sostenere questa autodifesa sia quello che può servire a un Iraq che deve ritrovare un’unità politica e una capacità di risollevarsi. Altro non è stato discusso, né in Italia né in ambito internazionale, quindi Unione Europea, Nato, Onu.

La minaccia terroristi “made in Europe”

I numeri di cittadini convertiti alla Jihad sono, nel caso dell’Italia, ancora abbastanza bassi  rispetto a quelli che vediamo in altre nazioni europee. I casi maggiori si registrano in Inghilterra ma anche in Francia e anche in altre nazioni. Detto ciò, ossia che i numeri sono ancora piuttosto bassi, dobbiamo preoccuparci. Nel momento in cui proprio un giovane della mia città Genova, di soli 24 anni, muore in Siria perché era andato – dopo essere stato convertito – a combattere insieme alla Jihad,  ci da la misura di quello che può avvenire. Il  fenomeno di coloro che decidono di convertirsi, non tanto a una religione – non stiamo certo parlando di questo, non è questo il problema – ma a una lotta terroristica, a un fondamentalismo di questo tipo, è un problema che dobbiamo seguire con attenzione. Desidero sottolineare, però, che c’è uno Stato attento e vigile. In queste situazioni noi abbiamo agito sempre in stretto collegamento tra Esteri, Difesa e Servizi di intelligence. Devo dire che c’è un buon lavoro di squadra sia delle istituzioni che dei singoli Ministri. Ci sentiamo spesso perché la condivisione di informazioni e le decisioni comuni sono quelle che servono di più.

Gli sbarchi e il rischio terrorismo

Quando siamo di fronte a 113mila persone che arrivano in Italia, secondo quanto riportano i numeri dell’operazione Mare nostrum, è chiaro che può anche succedere che fra queste ci siano terroristi. In prevalenza però sono persone che fuggono da situazioni di guerra, che hanno visto uccidere i loro cari, che vogliono salvare i loro figli e che scappano perché lì ci sono delle situazioni tragiche. Non a caso la stragrande maggioranza ha poi diritto allo status di rifugiato. Certo, tutto può succedere e con numeri così alti può esserci statisticamente questo rischio ma in realtà  vediamo che i rischi possono essere ovunque anche in casa nostra con i giovani che si convertono alla Jihad.

Migranti  e il ruolo dell’Europa

Mi aspetto che l’Europa diventi, in questa nuova fase, capace di intervenire in modo meno burocratico e più attivo rispetto alle emergenze che nascono. Dopo le Primavere Arabe sono scoppiate rivolte nelle terre esattamente di fronte a noi, divisi come siamo solo dal Mar Mediterraneo. Nelle situazioni che si sono create in Libia, in Siria, ma anche in Mali e in Centro Africa –  dove sappiamo ci sono situazioni di guerre terribili – hanno cominciato a premere migliaia di persone. L’Italia non può essere lasciata da sola a fare un lavoro fatto, tra l’altro, giustamente. Salvare una vita umana è  qualcosa di impagabile ma non può essere un problema solo italiano: queste persone scappano da una situazione drammatica e non vogliono venire in Italia perché hanno deciso di venire in Italia, ma scappano per trovare una speranza e una possibilità. Molti di questi hanno diritto ad essere riconosciuti come rifugiati: questo problema non può essere lasciato solo all’Italia. Si tratta di modificare e ampliare ciò che fino ad ora è stato Frontex: noi siamo disposti a continuare la nostra parte di lavoro ma non in completa solitudine.

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