I dati diffusi dalle Finanze non provano assolutamente che la Tasi sia più leggera dell’Imu prima casa. Le elaborazioni sono state effettuate con riferimento ai soli Comuni che hanno deliberato entro il maggio scorso – appena un quarto del totale – e, come riconosciuto nello stesso documento delle Finanze, il gettito Tasi potrebbe aumentare sulla base delle scelte che effettueranno i restanti tre quarti dei Comuni. L’analisi delle delibere che stanno via via approvando le varie amministrazioni mostra poi una tendenza all’utilizzo sempre più esteso dell’aliquota massima del 2,5 per mille o, addirittura, di quella del 3,3 per mille che i Comuni dovrebbero compensare con detrazioni di pari entità ben difficili da verificare.
Vi è poi la questione degli immobili in affitto. La Tasi è stata presentata come tributo sui servizi e quindi, coerentemente con tale natura, se ne era prevista una sia pur minima attribuzione in capo anche agli inquilini (dal 10 al 30 per cento, a discrezione dei Comuni). La realtà dimostra invece che anche questo tributo sarà pagato pressoché interamente dai proprietari, sia per la tendenza dei Comuni a non riscuotere dai conduttori le somme dagli stessi dovute sia per la malaugurata decisione del Parlamento di disporre che, in caso di assenza di delibera o di mancata decisione comunale sul punto, il 90 per cento della Tasi sia a carico del locatore.
In ogni caso, la Confedilizia conferma appieno – allo stato – le proprie posizioni, peraltro riguardanti il confronto fra il regime ICI e quello Imu-Tasi, e quindi la necessità di ridurre i moltiplicatori catastali abnormemente innalzati da Monti e, prima, da Prodi. Una situazione che ha portato le tasse locali sulla casa a triplicarsi in tre anni: dai 9,2 miliardi dell’ICI del 2011 ai 24/28 miliardi di Imu e Tasi del 2014