Facciamo un giochino, per nulla ridanciano e molto serio.
Non teniamo conto del titolone in prima pagina e del titolo nelle pagine interne con cui Repubblica presenta l’intervista a Vincenzo Visco, governatore della Banca d’Italia.
“Visco: Italia, hai poco tempo“, strilla in prima pagina il quotidiano diretto da Ezio Mauro lanciando la conversazione di Federico Fubini con il successore di Mario Draghi in Banca d’Italia.
“Hai poco tempo”, dunque. Come dire: Renzi faccia riforme dure, toste e impopolari, tagli draconianamente la spesa pubblica, abolisca l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, privatizzi ulteriormente Eni ed Enel ecc.
E’ così? Non proprio.
Allora prendiamo asetticamente alcuni concetti concessi espressi da Visco.
PRIORITA’? INFRASTRUTTURE E ISTRUZIONE
Se lei dovesse indicare la riforma più urgente, cosa direbbe?, chiede Fubini di Repubblica.
Risposta: «C’è un insieme di fattori: il livello del capitale umano nel Paese, insufficiente per cogliere il cambiamento, e le difficoltà di migliorare il sistema dell’istruzione; le carenze nella dotazione di infrastrutture; le forti inefficienze nell’amministrazione pubblica; le rigidità nella struttura produttiva. La diffusione della criminalità e della corruzione, l’evasione, la pressione fiscale elevata sono condizioni di fondo che scoraggiano dall’investire e aprire un’impresa».
RIFORME STRUTTURALI? GIA’ FATTE IN GRAN PARTE
“Premesso che è difficile parlare genericamente di riforme strutturali e bisognerebbe essere specifici, in Italia sono state prese molte misure: sulla giustizia civile, sul mercato del lavoro, sulle pensioni. Sicuramente ancora molto resta da fare ma siamo davvero certi che le riforme sin qui fatte sono di segno molto diverso da quelle attuate in Spagna? Se confrontiamo le misure prese nei due paesi dal 2011 a oggi sulla concorrenza, sulla regolamentazione dei mercati, sul mercato del lavoro e altro, si vedono molte analogie».
EMULARE LA SPAGNA? E PERCHE’?
Allora perché la Spagna cresce al 2% e noi siamo in recessione?, chiede Fubini.
Risposta: «Innanzitutto ricordiamoci che la Spagna ha comunque un tasso di disoccupazione pari a quasi il doppio di quello dell’Italia. Ma un punto importante è che le stesse riforme possono avere effetti diversi se attuate in un Paese in cui vi è la percezione che non saranno riviste e saranno attuate con rapidità rispetto a un paese dove questa percezione non sia chiara o dove vi sia il timore che esse possano rimanere inattuate o addirittura essere radicalmente mutate. Se da noi ogni volta che c’è un cambiamento politico si rimettono in discussione tutte le scelte precedenti, l’effetto delle riforme diventa debole. Gli investimenti dipendono anche dallo stato di certezza o incertezza».
CHE FARE? SPINGERE SULLA DOMANDA E INVESTIRE
“Dobbiamo favorire gli investimenti, che sono lo snodo fra domanda e offerta. E quando si parla di Europa, si parla di uno spazio in cui si condividono le responsabilità. Possono esserci sicuramente investimenti europei: le reti infrastrutturali transfrontaliere lo sono senz’altro”.
FLESSIBILITA’ NELLE REGOLE UE? SI’ GRAZIE
“La definizione e l’attuazione di investimenti pubblici comuni in Europa richiederà tempo. Nel più breve termine l’utilizzo dei margini di flessibilità previsti dalle regole di bilancio e di rientro del debito europee e nazionali dovrebbe essere attuato in maniera coordinata a livello europeo».
BASTA AUSTERITA’, SERVONO POLITICHE ESPANSIVE
«E’ interesse comune che, ferma restando la vigilanza sulla sostenibilità di lungo termine dei conti pubblici di ciascun Paese, l’orientamento di politica fiscale dell’intera area divenga in questa fase più espansivo».
Il risultato del Visco-pensiero sulle politiche che spettano all’Europa e all’Italia è un garbato, indiretto, vellutato sberleffo alla tiritera che da anni s’incentra su alcuni concetti-chiave: austerità come premessa della crescita, riforme strutturali impopolari per riavviare lo sviluppo, tagli durissimi alla spesa pubblica per poter ridurre la pressione fiscale.
Ecco, rileggiamo la sintesi del Visco-pensiero, visto che per decenni ci è stato insegnato che vanno compulsati scritti e parole dei governatori della Banca d’Italia. Ma mi sa che a Palazzo Koch è cambiata un bel po’ l’impostazione, come già nelle ultime Considerazioni finali avevamo qui notato anche con un’analisi dell’editorialista Stefano Cingolani e con un commento dell’economista Sergio De Nardis.
Bankitalia è diventata keynesiana e non troppo draghiana?