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Un centro fondato sull’unità fra anziani e giovani

I recentissimi incontri fra esponenti del variegato mondo moderato italiano hanno confermato che i vari ceti politici costituitisi e congelatisi dietro ciascuno dei soggetti in vario modo presentatisi nella geografia politica italiana a far data dal 1994, avvertono di non potere più procedere in maniera disaggregata e persino contrapposta, ma non riescono ancora a sfuggire al rischio di mantenere fermi i rispettivi paletti di demarcazione, rischiando la paralisi totale e persino una globale insignificanza.

È, tuttavia, interessante notare una certa vivacità individuale, specie di giovani privi d’un qualche potere decidente, che si affannano a inventarsi confronti con formazioni antitetiche, al momento collegabili col partito di Matteo Renzi: chi per imitarlo nella sua velocissima e fortunata carriera; chi per proporsi come generazione che non vuole assolutamente confondersi in progetti nostalgici; chi convinto che sia sufficiente volere comunque cambiare per distinguersi dai più anziani; i quali, a loro volta, fanno, dell’esperienza vissuta, un mantra irrinunciabile.

Dov’è il punto critico, che non consente di mettere a frutto le tante volontà e capacità individuali, mentre tutti continuano a rinviare a nuovi appuntamenti? A mio parere, nel permanere di diverse culture di riferimento e nella persistenza di gruppi di mero ceto politico che, oggettivamente, finiscono col prevalere sull’ottimismo degli avanguardisti.

L’impressione che danno i pur numerosi scritti di giovani interessati ad una politica non priva di una cultura fondante, è un eccesso di pseudo-eruditismo (improbabile proprio per la giovane età degli intervenuti) che sbilancia il veterorealismo dei capi dei diversi gruppuscoli, che non vogliono rinunciare a quel piccolo potere che comunque posseggono e al quale affidano il proprio futuro e quello dei giovanissimi. Così, la ruota gira, ma sviluppa soltanto aria e non produce effetti politici apprezzabili. Gli stessi giovanissimi finiscono col rimandare a tempi successivi la verifica di eventuali accertamenti aggregativi, in qualche modo venendo forzati dalle scadenze dell’agenda politica generale, come le elezioni regionali o i turni amministrativi locali per fine mandato delle gestioni uscenti.

Ma una questione sovrasta tutte le altre: il predominio oggettivo, nel panorama moderato italiano, della personalità di Silvio Berlusconi. Che non è il padre-padrone di milioni di voti, e tuttavia è l’uomo che da vent’anni, piaccia o no, è il riferimento principale dell’elettorato moderato: sia di quello più propriamente centrista, che di quello più propriamente di destra.

Se fossimo in regime proporzionalistico, le differenze fra centro e destra sarebbero vissute senza grandi drammi. Poiché, invece, siamo in regime maggioritario, e tendenzialmente si prospetta una politica di alternanza democratica, un eccesso di rottura fra centro e destra non potrebbe che favorire la sinistra; anche se questa non è monolitica, causa il prevalere di un renzismo i cui metodi e talune proposte sconfinano sul terreno proprio del centro. Che, di conseguenza, diventa oggetto di cupidigia sia dei moderati di centro che dei non estremisti di sinistra.

Come se ne esce? La ricetta non ce l’ha nessuno, mentre lo strumento delle primarie – infettato dall’uso ed abuso che ne ha fatto la sinistra – non appare come il migliore e il principale. Qui il ruolo dei giovani potrà risultare utilissimo: la loro insistenza sui richiami ad una cultura fondante può portare ad una contrazione del potere del ceto politico che non si fa mai da parte. È già accaduto in altre epoche, anche recenti. Non è detto che non funzioni per il futuro. Specie se l’obiettivo primario sia davvero la costituzione di un centro moderato alternativo alla sinistra dell’annuncio.



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