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Ferrari, ecco logiche e torti del licenziamento plebeo di Montezemolo per mano di Marchionne

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, l’articolo di Riccardo Ruggeri uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Scusami, Luca, se per ragioni di galateo editoriale devo darti del «lei». Il mio giudizio su di lei è noto (Romiti non lo condivideva, ma spero che ora abbia cambiato idea): una trentina d’anni fa, lei aveva ridato smalto e spinta a quell’ufficio stampa (e propaganda) che la mitica Signorina Maria Rubiolo aveva portato a livelli siderali (unico al mondo a non essere solo un centro di spesa, ma un centro di enormi profitti in termini di immagine Fiat). Così come lei, dopo Enzo Ferrari che lo aveva voluto, è stato il più grande uomo immagine Ferrari, unica azienda al mondo ove le cariche di Presidente e AD sono inutili: il logo, il mito fanno aggio su tutto, il responsabile commerciale basta e avanza.

I MERITI DI MONTEZEMOLO

Trascurando tutte le chiacchiere di cui, nel corso degli anni, lei è stato fatto oggetto, bastano queste due eccellenze, e i risultati economici degli ultimi anni, per fare di lei un manager riconosciuto e apprezzato a livello internazionale della Fiat attuale. È nell’ordine delle cose che lei venga licenziato, lo è per «eccesso di ingombro», se ne sarà reso conto, osservando lo stile plebeo con cui l’operazione è stata fatta. La mancanza di vittorie in F1 da 6 anni come motivazione per il licenziamento è debole, presupporrebbe altrettanta coerenza per i 18 anni di assenza della Juventus F.C. dalla Coppa dei Campioni. Ma tant’è.

LE RAGIONI DEL SILURAMENTO

Comunque, non devo essere io a dirle che il suo licenziamento ha anche una spiegazione logica, di business, di management. La Proprietà, o chi per essa, aveva due opzioni su Ferrari: a) quotarla in Asia (modello Prada); b) tenerla dentro al corpaccione di FCA, per tentare di convincere i futuri sottoscrittori dell’IPO a Wall Street che l’ingresso di FCA nel segmento premium è figlio della «filiera Ferrari-Maserati-Alfa Romeo». La Proprietà ha scelto l’opzione «b»(che sia la scelta corretta lo capiremo solo fra qualche tempo) per cui, oggettivamente», non era lei la persona giusta per questo modello di management. Le confesso che non me la vedo a fare il maggiordomo.

LA SOLUZIONE ASIATICA SCARTATA

Ragionando da investitore Fiat (che non ha fatto il recesso, sia chiaro solo per curiosità intellettuale, perché voglio capire, in diretta, come va a finire, ci sto scrivendo pure un libro), io avrei scelto l’opzione «a». E per un motivo molto semplice: Ferrari è nell’olimpo rarefatto dei marchi del lusso (Hermes, Cartier, di quel livello non me ne vengono in mente altri). Con l’opzione a), per usare un termine americano, si sarebbe costruita una «cintura del lusso»(luxury belt): Mosca-Dubai-Abu Dhabi- Singapore- Shangai- Hong Kong-Seul-Tokio. La domanda è: «con un Marchionne o un Elkann al vertice di Ferrari, il marchio in termini di immagine manterrà la posizione?». Come ovvio, nessuno è in grado di rispondere. L’altra domanda è: «come sostituire a livello commerciale uno come Montezemolo che aveva il «physique du role» per stendere e mantenere un cordone sanitario attorno a Ferrari, per isolarla dall’immagine negativa di Fiat Auto, che nessuno è ancora riuscito a ripristinare?»In questo caso, una risposta c’è: non sarà facile. Ma questo ormai, caro Montezemolo, è il passato.

Immagino che a livello personale, lei che è sempre stato uno vispo, abbia chiaro come la sua posizione di «licenziando» sia il sogno di ogni manager. La cifra della separazione sarà (immagino) monstre. Il bello di queste liquidazioni monstre, oltre a essere gradite a chi le riceve, rappresentano un punto di partenza, spesso un incentivo, per quelli che verranno dopo.

Auguri di cuore a lei e alla Ferrari.

(PIZZI D’ARCHIVIO SU MONTEZEMOLO TRA FERRARI, ITALO E SIGARI TOSCANI… TUTTE LE FOTO)



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