Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’analisi di Tino Oldani uscita sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Manca poco al 21 settembre, giorno di San Matteo, e non è affatto chiaro se per quella data saranno stati pagati tutti i debiti della pubblica amministrazione ai fornitori privati. È stato lo stesso premier Matteo Renzi a fissare questa data come dead line, durante un’intervista con Bruno Vespa a Porta a porta, quando, al conduttore che si mostrava scettico sui tempi dei rimborsi, disse: «Per San Matteo, ultimo giorno d’estate, se ci riusciamo, lei va in pellegrinaggio a piedi da Firenze a Monte Senario». Era il 14 marzo. Da allora è successo un po’ di tutto.
Prima delle europee (25 maggio), Renzi promise rimborsi sempre più rapidi, salvo cambiare la dead line tra un annuncio e l’altro. Il 28 marzo dava per archiviata la vicenda con un tweet: «Debiti Pa? Problema risolto dal 6 giugno con la fatturazione elettronica a 60 giorni». Per nulla convinto, l’allora commissario Ue all’Industria, Antonio Tajani, fece alcuni controlli e il 18 giugno aprì una procedura d’infrazione contro l’Italia per la violazione sistematica dei termini di pagamento fissati da una direttiva Ue del 2012: le fatture vanno saldate entro 30 giorni, con limitate eccezioni fino a 60 giorni, gravate da interessi di mora dell’8%. Per tutta risposta, il sottosegretario alla Presidenza, Graziano Del Rio, accusò Tajani (dirigente di Fi) di «strumentalizzazione politica». Ma restava il fatto che la direttiva europea del 2012 sui tempi di pagamento, recepita dall’Italia nel 2013, era stata fino ad allora ignorata proprio dal governo. Per Renzi, un pessimo esordio del semestre europeo.
A complicare la situazione, poi, sono sopraggiunti la recessione e l’aumento del debito pubblico (arrivato al record di 2.168 miliardi), che ha ulteriormente ristretto i margini di manovra del Tesoro. In più, il patto di stabilità europeo, il famigerato Fiscal compact, obbliga a coperture certe per saldare i debiti in conto capitale dello Stato, perché incidono sul debito pubblico. E trovare risorse fresche per rimborsare migliaia di imprese fornitrici dello Stato è diventato quasi un incubo per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, costretto a continue acrobazie dialettiche e finanziarie, vuoi per non contraddire i tweet ottimistici del premier, vuoi per racimolare, di volta in volta,modesti stanziamenti, sempre accolti dalla stampa amica come risolutivi, mentre è evidente che la partita non è affatto chiusa, né chiara.
In agosto, un centro studi di Udine, «ImpresaLavoro», ha quantificato in 74,2 miliardi il debito della Pa verso le imprese fornitrici, pari al 4,8% del pil. I tempi di pagamento della Pa, sostiene lo studio, continuano ad aggirarsi sui 170 giorni, contro i 60 del settore privato: un ritardo che avrebbe provocato alle imprese un danno di oltre 6 miliardi l’anno, per un totale di circa 30 miliardi per il periodo 2009-2013. Dati negativi, che il governo considera ormai superati. Sul sito del ministero dell’Economia, un post intitolato «Pagamento debiti della Pa ai creditori», con tanto di cartina a colori, spiega che, alla data del 21 luglio, sono stati pagati ai creditori 26,1 miliardi a fronte di finanziamenti disponibili per 30,1 miliardi, pari al 63% dello stanziamento del 2013. Dunque, un dato positivo ma parziale, se non deludente, visto che, tra il 2013 e il 2014, lo stanziamento effettivo era stato di 56,8 miliardi. All’appello, per chiudere la partita, mancano ancora circa 31 miliardi. Ce la farà Padoan a trovare questi soldi e saldare i debiti entro il 21 settembre?
Il ministro ne è così convinto che il 27 agosto, intervistato dal Corriere della sera, ha affermato: «Il problema dei debiti arretrati della pubblica amministrazione è di fatto risolto, in anticipo rispetto all’onomastico di Renzi. Il meccanismo dello sconto fatture presso le banche è decollato e sta funzionando molto bene. I fornitori, fin da oggi, possono cedere alle banche il loro credito a condizioni vantaggiose». Che è successo? Semplice: a fine luglio il ministero dell’Economia ha firmato con l’Abi (l’associazione delle banche) una convenzione in base alla quale le imprese possono cedere agli intermediare finanziari i loro crediti con lo Stato, purché certificati. Costo dell’operazione: 1,60% per importi superiori a 50 mila euro, un po’ di più (1,90%) per importi fino a 50 mila euro. L’iniziativa, benché implichi un aggravio burocratico (non bastando le fatture, le imprese devono presentare un’istanza di certificazione per autenticare il loro credito), ha avuto un discreto successo. Tanto che in agosto, ha spiegato Padoan al Corsera, «sono state ben 55 mila le imprese che hanno fatto domanda di certificazione, per un importo di 6 miliardi, che si aggiungono ai 26 già pagati. Ci aspettiamo che le certificazioni crescano ancora, come i rimborsi».
Insomma, per Padoan è tutto risolto. «Un regalo al premier», dice il ministro, che ricordando male la battuta di Renzi a Porta a porta, aggiunge: «Gli ho risparmiato un pellegrinaggio a Monte Senario». Ma nei panni di Bruno Vespa, saremmo certi di vincere la scommessa. Basta leggere con attenzione il sito del ministero dell’Economia, dove si precisa che «l’istanza di certificazione va presentata entro il 31 ottobre». Questo significa che i pagamenti arriveranno dopo, forse entro la fine dell’anno, oppure nel 2015. Non solo. Lo stesso Padoan ha ammesso nell’intervista che «i debiti in conto capitale impattano sull’indebitamento netto dello Stato e necessitano di una copertura», che ora evidentemente non c’è (è il Fiscal Compact, bellezza). Si tratta di 2-300 milioni quest’anno, e di 2-3 miliardi nel 2015, da trovare con la prossima legge di stabilità (speriamo non con le tasse). Che dire? Il governo Renzi-Padoan ha fatto certamente più di quelli di Monti e Letta per pagare i debiti della Pa. Anche la frustata europea di Tajani ha avuto il suo peso. Ma la partita non è affatto chiusa.