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L’Eni e i professionisti dell’etica pubblica

L’Eni e il suo amministratore delegato Claudio Descalzi sono nuovamente nell’occhio di un ciclone giudiziario (l’ultimo risale a un anno e mezzo fa). Oportet ut scandala eveniant? Non è detto. Del resto, nell’originale greco del motto evangelico il temine “skàndalon” significa trappola che ti fa inciampare, non azione immorale che ti fa indignare.

Ma davvero c’è qualcuno, tra i professionisti domestici dell’etica pubblica, il quale fa finta di ignorare che per lo sfruttamento delle fonti energetiche e per le commesse militari vengono versate -di regola- tangenti più o meno cospicue a politici e faccendieri locali?

Beninteso, la magistratura deve fare il suo dovere, accertando anzitutto se una parte delle mazzette non torni indietro e non si infili nelle tasche di qualche intermediario di casa nostra. Ma mettere alla gogna mediatica dirigenti di aziende italiane strategiche, che hanno agito e agiscono per tutelare l’interesse generale del Paese (e magari seguendo direttive politiche del governo): questo sì è il vero scandalo, il grande trabocchetto orchestrato dall’imperante ipocrisia nazionale.

Mi dicono che negli Stati scandinavi, da sempre in vetta alla lista di quelli meno corrotti, anche grazie alle leggi lì vigenti non avremmo mai potuto assistere a uno spettacolo del genere. Non lo so. So soltanto che, nel frattempo, Beppe Grillo gongola. I moralisti per mestiere, però, non dovrebbero mai dimenticare l’ammonimento di Pietro Nenni: “Nella gara a fare i puri, alla fine c’è sempre uno più puro che ti epura”.



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