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Violante, Bruno e i renitenti alla leva parlamentare

Un po’ di buon senso, e anche di pudore, vorrebbe che si evitasse di liquidare come un banale incidente “di lunedì” la fumata nera ripetutasi a Montecitorio per l’elezione dei giudici costituzionali e dei consiglieri superiori della magistratura di spettanza parlamentare.

Più dei circa 150 fra deputati e senatori che hanno disertato la seduta congiunta delle Camere e relative votazioni perché di lunedì è sempre difficile riempire le aule, contano i dissensi all’interno del Pd e di Forza Italia che hanno impedito per una quarantina di voti l’elezione dei rispettivi candidati ufficiali alla Corte Costituzionale. Dissensi confermati anche di fronte all’intervento formale dei vertici dei due partiti, rispettivamente, per Luciano Violante e Donato Bruno, peraltro subentrato come candidato ufficiale del partito berlusconiano al contestato Antonio Catricalà.

Le sacche di resistenza nei due partiti alla ratifica degli accordi presi dai rispettivi vertici sui due giudici costituzionali mancanti al plenum della Consulta potrebbero riprodursi in altri passaggi parlamentari che vedono Matteo Renzi e Silvio Berlusconi in sintonia, particolarmente sulla strada delle riforme istituzionali, e di quella elettorale.

Le prospettive non sono buone né per il governo, né per il Paese, la cui crisi economica potrebbe aggravarsi se esplodesse una crisi politica destinata probabilmente a sfociare in elezioni anticipate nella prossima primavera, chissà poi con quale legge. A meno che non si finisca per andare alle urne con quel che rimane del vecchio “porcellum” dopo i tagli apportati dalla Corte Costituzionale. Ma ciò significherebbe riprodurre nelle nuove Camere, con il sostanziale ripristino del sistema proporzionale, la realtà delle inevitabili “larghe intese”, non potendosi immaginare un Pd, specie dopo una crisi, in grado di raggiungere da solo la maggioranza assoluta dei voti e dei seggi nelle due Camere: due, perché il Senato rimarrebbe quello che è per numero di eletti e per materie di competenza, perfettamente uguali a quelle di Montecitorio. Non vi sarebbero materialmente i tempi per approvare definitivamente la riforma senatoriale.

Renzi, certo, potrebbe disporre in un nuovo Parlamento di gruppi allineati, scegliendosi praticamente i candidati, di fatto nominando i deputati e i senatori del Pd, anche se le liste bloccate sono state bocciate dalla Corte Costituzionale. Ma che se ne farebbe, Renzi, di gruppi disciplinati in una realtà parlamentare ugualmente caotica, nella quale non si riesce neppure ad immaginare, in questo momento, l’articolazione dell’altra sponda delle necessarie larghe intese? Non si potrebbe neppure escludere, nel caos di una campagna elettorale così precipitosa e precipitata, addirittura una ripresa di Beppe Grillo.

In questo quadro le dissidenze che hanno impedito ancora l’elezione dei due giudici della Consulta concordati fra Renzi e Berlusconi non rappresentano quella espressione di vitalità e autonomia dei parlamentari, liberi per Costituzione da ogni vincolo di mandato, come potrebbe apparire agli ingenui. No. Qui hanno vinto solo i renitenti a quel poco o minimo di ordine politico e istituzionale esistente. “Renitenti alla leva”, li avrebbe probabilmente definiti Amintore Fanfani, il “mezzo toscano” al quale, a torto o a ragione, qualche renziano ama paragonare l’attuale presidente del Consiglio: un toscano intero, almeno per statura fisica.

Francesco Damato


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